«Tanto tempo fa, la gente pensava che il cibo vegano non fosse gustoso e che le femministe fossero delle puritane». Sono alcune delle considerazioni che Carol J. Adams annota nella prefazione al suo volume più famoso, The Sexual Politics of Meat: A Feminist-Vegetarian Critical Theory, a vent’anni dalla sua prima pubblicazione e in cui raccoglie le precedenti prefazioni, dando quindi il passo di una discussione in itinere.
Altre edizioni sono seguite ed è sempre stata Adams, teorica femminista e vegana, a raccontare ciò che si è mosso nel frattempo nella discussione pubblica in merito a quella straordinaria intuizione, preparata, approfondita e infine immaginata fin dagli anni ’70, secondo cui esiste più di una semplice intersezione tra vegetarismo e femminismo e tra animalismo e femminismo; e che in quei pressi si sarebbe potuta giocare una partita importante e tutta politica.

Niente affatto teorica, l’idea di quell’inscindibile legame le è provenuta dalla sua esperienza diretta.
La prima pubblicazione della Politica sessuale della carne risale al 1990 per Continuum e, finalmente, anche se dopo ben 26 anni, è in corso di traduzione anche in Italia per le edizioni Sonda.
Sembra un innocuo corollario questo di Adams sul «gusto», tuttavia è esattamente in quell’immaginario «di seconda mano» e «per sentito dire» che possono circolare e annidarsi altri tarli, deduzioni di una sottocultura scadente – se la si osserva dalla parte della produzione antispecista e animalista di questi ultimi anni e che si continua evidentemente a ignorare o a trattare con sufficienza – eppure altrettanto deteriorata dallo stesso punto da cui proprio il libro di Adams prende avvio: l’esistenza di un rapporto stretto tra carnivorismo e dominio (maschile) giacché il guasto è quello che nell’attribuzione dei ruoli sia proprio la virilità maschile a essere intrecciata con il mangiare carne.

Che in questa sfida alla «politica sessuale della carne» si giochino allora altre scommesse è stato evidente a Carol J. Adams tanto che il volume è da leggersi come un laboratorio di idee e di possibilità di scambio.
Così sostiene lei stessa che tiene sempre a precisare come, senza il suo attivismo politico – cominciato nella prima giovinezza contro la violenza domestica, il razzismo e la povertà – il volume non sarebbe stato lo stesso.
Nelle numerose interviste, alcune delle quali di un certo interesse, completa ulteriori ragionamenti; per esempio in quella a cura di Adele Tiengo pubblicata per la rivista antispecista «Liberazioni» (n.12, 2013) fa il punto sul lavoro preparatorio del testo del 1990. In un’altra invece – la più recente – a cura di Silvia Molè (per radio radicale il 28 giugno scorso che può essere ascoltata in podcast) l’affondo è ancora una volta sul legame che ha visto storicamente l’oppressione animale a quella delle donne.

Se c’è un guadagno in La politica sessuale della carne, tra le traduzioni più attese dei prossimi mesi, è allora proprio il paradigma del consumo, il modo in cui ci si muove attraverso, nell’interrogazione di quel «testo» della carne e del concetto di «referente assente» – mutuato  dalla critica letteraria – che attiene agli animali.
Una contro-narrazione che per Adams va intercettata e scovata nelle scritture soprattutto letterarie e che offre la possibilità di trovare un mondo in cui l’empatia per il vivente passa per la comprensione della propria e altrui vulnerabilità. Un volume simile è certamente un ottimo antidoto alle semplificazioni che spesso accompagnano il giudizio sommario e tranchant sul vegetarianesimo e sul veganesimo.
Tra le altre cose, può insegnare che il cibo di cui ci si nutre è affollato anzitutto di idee complesse. E che si deteriorano anch’esse se non le si sa curare con generosità. Tutt’altro da una disputa tra gusti.