Ancora otto giorni per trovare una soluzione concordata e dignitosa per la Carocci. E oggi pomeriggio l’incontro tra i sindacati e la direzione aziendale potrebbe essere anche risolutivo. I fatti: i 32 dipendenti continuano lo sciopero ad oltranza contro la decisione della società Edifin – proprietaria anche della casa editrice bolognese Il Mulino e del prestigioso marchio romano – di metterne diciassette in cassa integrazione a zero ore. Questa operazione avviene nell’ambito di una profonda ristrutturazione confermata dall’assemblea straordinaria dei soci de «Il Mulino» che si è tenuta a Bologna sabato 10 gennaio. La holding che controlla Mulino e Carrocci ha infatti in programma anche il licenziamento e la riassunzione di 14 dipendenti del Mulino di Bologna nella Edimil, una «Newco» che continuerà a lavorare per lo storico editore bolognese.

Previsto anche il raddoppio del capitale sociale: gli azionisti verseranno un milione e 175 mila euro. La riunione di sabato, che ha visto la partecipazione anche dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, si è conclusa con la raccomandazione all’amministratore delegato del Mulino e di Carocci Giuliano Bassani e Giovanni Belluzzi di Edimil di «operare ogni sforzo per mantenere aperte relazioni costruttive con i lavoratori e sindacati». È stato auspicato il potenziamento dell’«attività di valorizzazione delle risorse umane». Il piano choc di ristrutturazione ed esternalizzazione ha provocato la veemente reazione dei lavoratori romani. La protesta si è sviluppata anche su facebook e twitter, mentre il blog «Carocci sciopera» diventa ogni giorno più interessante. C’è spazio sia per i selfie di protesta dei redattori che in vari ritratti espongono un cartello «#siamoilibricheleggi», sia per i post che raccontano come si «lavora» editorialmente un libro: dalla prima fase della lettura, alla correzione di bozze. Su change.org è stato lanciato l’appello «Rilanciamo Carocci», firmato inizialmente da Alberto Asor Rosa, Tullio De Mauro, Adriano Prosperi e Luca Serianni. Ieri sera l’appello aveva raccolto 4899 firme: «Le scelte prospettate dalla proprietà – si legge – oltre a incidere sulla vita delle persone coinvolte, determineranno un impoverimento del panorama editoriale e priveranno l’università italiana e, più in generale, il mondo della cultura di un interlocutore attento, credibile e scrupoloso».

Le polemiche hanno attraversato anche il mondo del Mulino quando Luigi Pedrazzi, uno dei fondatori, ha criticato duramente la scelta dell’attuale management, chiedendo di evitare lo scontro con sindacati e dipendenti. Sull’altro piatto della bilancia c’è la crisi dell’editoria, come della stessa università, oltre che la perdita del fatturato della Carocci. Per i sindacati queste sono giustificazioni parziali. Dall’acquisizione nel 2009 da parte de Il Mulino, la casa editrice non è stata gestita in maniera efficiente, come dimostrebbe la mancanza di una direzione commerciale. Gli incontri con l’azienda non hanno portato a risultati. La proprietà insiste sul piano di smantellamento del corpo redazionale e amministrativo e non ha ancora presentato un concreto piano di rilancio della Carocci. Inoltre, ha rifiutato la proposta dei lavoratori di un contratto di solidarietà per dare al gruppo il tempo di elaborare un’altra politica commerciale. «Altri editori hanno esternalizzato – sostiene Fabio Scurpa, segretario generale della Slc Cgil di Roma Nord e Civitavecchia – ma lo hanno fatto in anni, non in otto settimane. Passare da una redazione interna a una esterna non significa garantire un futuro, ma liquidare la Carocci. Al Mulino hanno creato una società ad hoc, qui invece vanno per un’altra strada. Si sta impoverendo la casa editrice. Noi temiamo per arrivare alla sua chiusura». Un’ipotesi esclusa invece dal management. Il tempo stringe. Entro mercoledì 21 gennaio, in un nuovo incontro in Regione Lazio, le parti dovranno trovare un accordo.