Trovo interessanti le parole che Gianni Cuperlo ha usato rivolgendosi nei giorni scorsi al Presidente del consiglio e segretario del Partito Democratico e, immagino, attraverso lui a quella parte degli iscritti e simpatizzanti che vivono un disagio significativo sul destino e sull’ identità del propria comunità politica. Costruire ponti, allargare il campo, comporre faticosamente alleanze è compito indispensabile per chi, da sinistra, vuole cambiare le cose. Chi nega questo impianto contrappone all’idea di vocazione maggioritaria che tanti danni ha fatto un’autosufficienza minoritaria che pare altrettanto dannosa, se non addirittura ridicola.

La nuova forza politica della sinistra italiana che vogliamo costruire e che a febbraio muoverà i primi passi non può eludere il nodo della ricostruzione della prospettiva di un governo democratico e progressista. Una certa tendenza caratteriale e politica all’ottimismo della volontà mi induce, tra l’altro, a pensare che non è mai troppo tardi per discutere e ricucire strappi.

Eppure, come sai, se all’ottimismo della volontà non si combina il pessimismo della ragione si rischia di sbagliare.
Leggendo la riflessione di Cuperlo non nascondo che all’inizio ho pensato che fosse di un anno fa, prima di tanti provvedimenti del governo e della maggioranza parlamentare che lo sostiene e che hanno segnato il 2015. Non è mia intenzione aprire polemiche, la 25esima ora in politica esiste sempre, ma credo che sia stata purtroppo superata da un pezzo. Quella rottura del campo largo di centro sinistra di cui parli è già avvenuta e non in maniera consensuale.

Nel Paese, come nelle grandi città.

Hanno pesato non solo questioni di merito su singoli provvedimenti – il jobs act come lo Sblocca Italia come la Buona scuola che ci ha visti sullo stesso fronte critico – ma anche l’idea stessa dello sviluppo della democrazia in Italia e in Europa e sul processo di revisione della Costituzione a cui Cuperlo accenna con forza. La qualità di un processo costituente non si vede solo da cosa c’è scritto dentro ma anche dal grado di coinvolgimento e di unità che attorno a un nuovo patto repubblicano si costruisce. Il merito spinge verso la direzione di quel “tempo esecutivo” evocato da Zagrebelsky con grande lucidità. Ma il metodo è sostanza: la riforma di un terzo della Costituzione – approvata senza il concorso delle opposizioni e con le critiche di una parte del Pd in un aula ridotta a ring con forzature regolamentari e sui tempi di discussione – è già un testo divisivo. E ‘ un testo fortemente segnato da una stagione politica dove la democrazia del leader prevale sulla democrazia dei partiti, dove il trasformismo diviene il tratto essenziale di un Parlamento continuamente ricattato dalla minaccia dello scioglimento anticipato. In questo tempo esecutivo e nella sottintesa idea di verticalizzazione del potere c’è la fine di quella densità democratica che ha reso grande questo paese.

Accanto a queste considerazioni, come sempre capita, si combinano scelte sociali che tendono a ridurre tutele e diritti della parte più debole del paese e ad aumentare il solco tra chi ha mezzi e strumenti di rappresentanza e chi no. Come si rimonta la Repubblica dopo questo accurato e paziente lavoro di smontaggio? Qui a prevalere è l’ottimismo della volontà. E in questo caso non è troppo tardi per costruire ponti, per allargare il campo, per comporre faticosamente quell’alleanza progressista che oggi appare una missione impossibile. Ma non può essere un’ operazione politicista. Non può che essere un lavoro, faticoso e lungo, di connessione e relazione con la coscienza del “nostro” popolo.

E che passa per la sconfitta dell’ipotesi renziana del Partito Pigliatutto. Abbiamo l’occasione di rendere più sana e rispondente alle esigenze dei cittadini la nostra democrazia. Abbiamo l’occasione di offrire serenità e giustizia al nostro Paese dopo una crisi lunga venti anni, di cui questo governo e l’attuale contesto politico ne rappresentano il confuso epilogo. Per noi il Referendum non può e non deve essere una prova di forza, il plebiscito che il Presidente del Consiglio sistematicamente sembra richiamare.

Ma l’occasione per evitare che quel treno deragli come dici tu. Occorre scongiurare che si realizzi quel blocco della nazione che rischia di farsi regime innanzitutto perché’ non vede il conflitto che si è aperto in Italia e in Europa sulla cecità dell’austerity che si mangia progressivamente porzioni di libertà, espellendo le culture critiche e consegnando lo spazio della decisione nelle mani dei pochi.

*Presidente gruppo deputati Sinistra italiana – Sel