Quando ho letto l’intervista in cui Pippo Civati si rifiutava di scegliere tra Gianni Crivello e Marco Bucci, mettendoli di fatto sullo stesso piano come candidati a sindaco della mia Genova, non ho creduto ai miei occhi e ho dovuto leggere una seconda volta (cfr. il manifesto, 13 giugno).

Mi spiego. Ho sempre avuto grande stima di Pippo come amico e come compagno che, nel corso di una difficile navigazione all’interno e fuori dal Pd, è sempre stato tra i pochissimi che hanno obbedito alla propria coscienza politica di fronte agli ordini di scuderia che riceveva in parlamento, resistendo anche di fronte ai ricatti costituiti da strumentali voti di fiducia.

Massimo Bucci, che ha sopravanzato Crivello di 4 punti e mezzo nella prima tornata, non è soltanto il candidato di destra che, con piglio padronale e offerte di posti nei cda delle partecipate ai grillini (che, mi auguro, non abboccheranno), è sostenuto da tutti gli interessi socialmente privilegiati, conservatori e fintamente meritocratici della città. Egli è l’uomo scelto e in parte imposto da Salvini e fervidamente sostenuto da Giorgia Meloni che vede nella sua elezione la rottura storica con Genova medaglia d’oro della Resistenza, in cui il movimento di liberazione è riuscito – unico caso in Europa – a costringere alla resa l’esercito tedesco prima dell’arrivo degli Alleati; la città che ha dato vita alla rivolta contro il governo Tambroni e che non si è piegata di fronte agli orrori commessi dal governo Berlusconi-Fini in occasione del G8.

Quella di Gianni Crivello non è una candidatura «male minore». Indipendente di sinistra come chi scrive, che il Pd ha dovuto accettare perché indebolito da precedenti errori quali la catastrofica candidatura Paita che ha privato il centrosinistra della guida della regione Liguria. Ma ciò che più conta, egli è stato l’assessore alla manutenzione e alla protezione civile riconosciuto, per presenza, disponibilità, concretezza più vicino alla popolazione, nella buona e soprattutto nella cattiva sorte. La propaganda avversa lo descrive come «il vecchio» per le sue radici berlingueriane, sempre da lui fieramente rivendicate, laicamente tradotte in un programma concreto per i molti e non nell’interesse dei pochi. In qualche modo Crivello anticipa a Genova la nuova modernità di un Corbyn e di un Sanders che, pur anziani nel senso migliore della parola, rappresentano la svolta che rende sempre più antiquata e strategicamente sconfitta una sinistra che insegue la destra; quella dei Blair, dei Clinton e, forse in un giorno non troppo lontano, dei Renzi…

Posso capire che Paolo Putti, che ha rotto da sinistra l’aggregazione grillina, pur notoriamente estimatore di Crivello, possa faticare a fare la scelta sempre difficile di schierare il proprio elettorato a suo favore, anche se mi auguro che farà questa scelta coerente con la sua esperienza d’impegno. Ma Civati ed altri compagni, per quanto comprensibilmente avvelenati da precedenti lotte intestine al Pd (da cui Crivello è sempre rimasto estraneo), sicuramente democratici e dalla parte di una città dolente ma ancora capace di guardare al futuro, hanno un solo compito. Quello di convincere la maggioranza dei cittadini che non hanno votato a tornare a battersi per la loro città (che, mai come questa volta, costituirà un test importante per il resto del paese); perché non diventi complice di un’ineguaglianza crescente da anni in tutto l’Occidente; per rifiutare la guerra tra poveri a cui sono continuamente istigati dai Bucci e, soprattutto, dai sostenitori di Bucci.