Il «Patto per la Costituzione», cioè l’appello/impegno a votare solo quei candidati che dichiarino formalmente e solennemente di astenersi da manomissioni della Costituzione per lavorare alla sua attuazione concreta, è un bel messaggio che sta trovando terreno fertile.

E ciò nonostante il tentativo di perseguirne la revisione come un fatto opportuno se non necessario (Calenda dixit) è voluto da molti, a dispetto di una vuota retorica di immutabilità costituzionale (Galli della Loggia sul Corsera).

Al contrario, Gaetano Azzariti (il manifesto, 14 gennaio) ha ben spiegato come i teorici del «revisionismo – quale – che – sia», non tengano in alcun conto le ripetute bocciature parlamentari e referendarie. Un atto di arroganza intellettuale, soprattutto se si riflette sul fatto che le procedure per la manutenzione costituzionale esistono, previste nella medesima Carta, che per questo motivo, si presenta moderna ed aperta ai cambiamenti. Purché siano coerenti, logici, intelligenti ed in sintonia con il senso comune.

Ecco quindi il perché della proposta di un Patto per la Costituzione: perché il prossimo Parlamento – o almeno una parte di esso – sia rispettoso del pensiero e dell’opera dei costituenti e della volontà popolare sinora così chiaramente espressa.-

Tuttavia – dobbiamo dircelo chiaramente per prefigurarci lo scenario dei prossimi mesi – il «Patto» reca con sé un peccato originale, costituito dalla composizione dell’assemblea sulla base di una legge che, con tutta probabilità, potrebbe essere dichiarata incostituzionale (e sarebbe la terza di seguito, record mondiale).-

Mettiamola così: tra i doveri di un parlamentare che volesse dare attuazione ai principi ed al dettato costituzionale, oltre all’impegno sul ripudio della guerra, sulla effettività del lavoro, sull’uguaglianza, sulle concrete pari opportunità, sulla tutela del patrimonio ambientale e culturale e così via per un lungo – ed inattuato – rosario, c’è anche quello pregiudiziale (perché finalizzato a realizzare il principio di rappresentanza democratica, senza il quale viene meno la legittimazione dei decisori e la legittimità delle decisioni) di assicurare – secondo l’art. 48 – che il voto dei cittadini sia «personale ed uguale, libero e segreto».

Ora, è molto probabile che il sistema congegnato dalla L. 165/2017, cosiddetto «Rosatellum» risulti, ad approfondita analisi della Consulta, non del tutto personale (le regole per consentire il voto dei cittadini italiani residenti all’estero non sembrano rassicuranti sul punto), e palesemente non eguale (vale evidentemente di più il voto dell’elettore di una lista in coalizione beneficiata dal premio di maggioranza e/o dalla attribuzione proporzionale dei voti delle liste in coalizione che, ottenuto almeno l’1%, non dovessero però raggiungere il 3%, rispetto al voto semplice di altro elettore).

Così come non si presenta libero (per il semplice motivo che il voto nel collegio uninominale si riflette automaticamente sul listino proporzionale vigendo il divieto di voto disgiunto).

L’unico requisito costituzionale formalmente mantenuto, potrebbe essere considerata la segretezza ma è la foglia di fico che copre l’indecenza, dal momento che anche in regimi totalitari il voto è segreto ma la manipolazione delle regole d’ingaggio ne consente la sterilizzazione con il controllo preventivo del consenso: in altre parole, se tu voti in un senso ma poi io decido che il tuo voto serve per incrementare il voto di un altro, ho istituito un regime.

Qui, oggi, in Italia si dice, tanto per essere chiari: i cittadini eleggono un parlamento quasi interamente scelto, prima del voto dai (soliti o nuovi non importa) cinque/sei capipartito che impongono nomi e scelgono i collegi. E da venti anni formano insieme leggi elettorali che comportano questi meccanismi. E se la Corte Costituzionale le dichiara illegittime se ne infischiano. Ne fanno altre ancora più incostituzionali, tanto – nonostante la pronuncia della Corte – i parlamentari abusivi rimangono in carica lo stesso.

Con buona pace della Consulta, del Presidente della Repubblica, dei sacri principi e della Resistenza.

Il problema è enorme da tanti punti di vista, perché la scelta di comporre l’aula parlamentare in questo modo non può che riflettersi sulla qualità di una classe dirigente dipendente dall’investitura dei capi.

Dunque per confidare che il «Patto per la Costituzione» possa avere un effetto significativo e concretamente incisivo per la rigenerazione delle nostre Istituzioni dovremmo aggiungere un’ulteriore richiesta ai candidati che sul rispetto della Carta

Fondamentale volessero impegnarsi ed è la seguente: qualora – come probabile – la Corte Costituzionale dovesse dichiarare l’incostituzionalità anche della attuale, e vigente, legge elettorale, così che anche il veniente Parlamento fosse da considerarsi non legittimato politicamente, questi nominati e componenti dell’assemblea in maniera non conforme alla Costituzione si batteranno per l’adozione di una legge elettorale solo proporzionale e per l’immediato scioglimento delle Camere?

Magari non vi riusciranno perché potrebbero essere una sparuta minoranza, ma almeno avranno gettato un seme di dignità istituzionale e dato un senso al nostro voto.