Diari d’artista, taccuino di viaggio, taccuino con copertina rigida, pennarelli pentel più cartucce ricaricabili, blocchi a spirale, una mascotte, calzini, mutande, poco altro. Niente, vale la pena dirlo, macchinetta fotografica. È questo l’equipaggiamento con cui si mette in viaggio Craig Thompson nel marzo 2004. Questi viaggi, anzi vagabondaggi, sono stati raccolti in un volume ora pubblicato in Italia dalla preziosa collana Rizzoli Lizard: Carnet di viaggio, pp. 250, euro 20.
Il viaggio, come tutti i viaggi che sono davvero importanti da raccontare, parte con delle ragioni e ne acquista strada facendo di tutt’altre, diventando uno snodo esistenziale, un punto nevralgico.
BLANKETS
Lo spunto, la matrice, è il capolavoro di Thompson: Blankets. Uscita nel 2003, questa graphic novel racconta l’adolescenza e la formazione esistenziale e sentimentale di un giovane di nome Craig. Siamo in quella che comunemente viene chiamata «America profonda», un contesto in cui la religione ha una parte molto importante per la vita delle persone.
Questi viaggi sono in qualche modo il risultato e il contraltare di Blankets. Risultato perché iniziano proprio da dove finisce quel racconto così tenero e sorprendente. Il protagonista, che è tutt’uno con l’autore, è stato infatti appena lasciato dalla ragazza che lì aveva conosciuto e con cui aveva consumato la breve stagione dei primi abbagli amorosi.
E la solitudine, non melanconica né piagnucolosa, è strutturale ai Carnet, solo chi è solo può davvero sperare di perdersi mentre sta compiendo un viaggio. Questa piccolissima regola base dei grandi scrittori-viaggiatori Thompson la conosce bene.
SGUARDO INTERNAZIONALE
Ma allo stesso tempo di Blankets i Carnet sono dal punto di vista tematico uno sviluppo palese, perché laddove lì era la chiusura della provincia americana lo sfondo fisso alle avventure del protagonista, qui è proprio il contrario, è il contesto, l’ambiente, a condizionare quello che succede. Qui si assiste insomma al formicolare di personaggi, di sfondi, di scenografie, insomma di contesti, come se si fosse su una macchina teatrale.
A restare identico, per fortuna è il segreto che ha consentito a Thompson di diventare un autore così promettente del fumetto internazionale, ovvero il suo sguardo.
Nonostante siano molte le location visitate, le cose che succedono, le persone che si incontrano, dietro la superficie degli eventi alla lunga si potrebbe anche scorgere il ritornare di tutta una serie di situazioni, tanto da farne anche dei cliché.
Il distacco dell’americano verso il cibo francese, così ridondante di sapori, così carico di promesse. I tetti di Parigi, le carrozze che stridono sul pavé, l’altera distanza tipica delle donne francesi.
Questo giusto per restare in Europa. Mentre quando poi si arriva in Marocco, si potranno osservare i bambini in cerca di mance, il rarefarsi dei tempi, la ricerca spasmodica di scrollarsi di dosso, magari attraverso il «tipicissimo» bagno turco, quei sapori così forti che costituiscono uno degli ingredienti più intrinseci dell’Africa.
Ma poi, in fondo, se si riesce ad entrare nel mood di questo scrittore di strisce, che cosa si racconta non importa poi molto, a contare molto di più è invece l’atmosfera che Thompson riesce a restituire, la delicatezza con cui la sua matita si posa sulle cose, a volte con ironia, altre con malinconia, altre ancora con la consapevolezza di lasciare dietro ogni volta una parte di sé.
DUE MESI
I due mesi di avventure europee ed africane raccontati in questi Carnet si imprimono infatti alla fine soprattutto sul piano emotivo-affettivo. I luoghi visti, le persone incontrate, i corpi femminili su cui pure la matita di Thompson si dedica con una passione non identica a uomini ed animali diventano importanti per quello che riescono ad innescare con il protagonista, non camminano da soli.
In questo senso Thompson è uno scrittore molto tradizionale, crede nella forza del suo ruolo, nella possibilità di dare un ordine alle cose e una gerarchia ai personaggi che naturalmente abitano la scena del mondo.
HABIBI
Ma questi Carnets ci dicono qualcosa di importante anche sul libro successivo di Thompson, Habibi, dedicato proprio alla cultura e al mondo islamico. Insomma questi diari di viaggi mettono in collegamento un mondo, quello della provincia americana, con l’oriente musulmano.
Discorso a parte lo meritano gli alberi, in particolare un salice, incontrato a Parigi che dà all’autore l’occasione per un cortocircuito della memoria: «Amore a prima vista con un salice… E ho ripensato alla primavera di Portland: finivo di lavorare alle 3 di pomeriggio, poi pic-nic nel parco con il mio amore. Ci sdraiavamo sul prato, scrutando il cielo. Vai oltre l’immediata informazione visuale, ignora questi piccoli ’vermi mitocondri’ che danzano nel fluido dei tuoi bulbi oculari… continua a fissare fin quando riesci a vedere le particelle dell’aria: TUTTO SCINTILLA IN MODO ASSURDO».
Ma questa malinconia «pacata e ammaliante» come la chiama lui non è la maniera di un post-adolescente, vi traspira una sorta di sorprendente saggezza delle cose, una capacità di indagare le cose minime, di soffermarsi sui dettagli, di indugiare, di fermarsi, di stare fermi.
Si potrebbe affermare che sia un paradosso che le cose più profonde un libro di viaggi le dica proprio mentre il suo protagonista è fermo ma neanche tanto, a pensarci bene.