In 17 giorni di avanzata jihadista in Iraq sono morte almeno 1.075 persone, tre quarti dei quali civili. È il drammatico bilancio annunciato ieri dall’ufficio Onu per i diritti umani, che tiene a specificare che tale numero «è probabilmente sottostimato». Una carneficina che si aggiunge alle 4mila vittime dei settarismi interni da gennaio a inizio giugno. Tra le zone più colpite ci sono ovviamente le province occupate dai miliziani dell’Isil, Ninawa, Diyala e Salah-a-Din, teatro di esecuzioni sommarie di civili e poliziotti.

Ad accompagnare l’avanzata islamista sono i massacri: ieri gli abitanti di quattro villaggi sciiti-turkmeni nella provincia di Kirkuk (Brawchi, Karanaz, Chardaghli e Beshir) hanno raccontato delle efferatezze compiute dall’Isil: i miliziani avrebbero aperto il fuoco contro i civili in fuga provocando decine di morti, sebbene sia difficile per ora quantificare la strage.

Trentadue vittime le ha provocate ieri l’aviazione irachena in una serie di bombardamenti contro la città di Baiji, sede della più importante raffineria del paese occupata pochi giorni fa dai jihadisti, e contro Husseibah, nella provincia di Anbar, la prima a cadere nelle mani dell’Isil già a dicembre. Tra i morti anche Abu Qutada, leader che ha guidato i miliziani all’occupazione dell’impianto. La stessa zona è stata teatro ieri dell’offensiva lanciata da esercito e milizie tribali per la ripresa della comunità di Haditha, via di collegamento alla capitale provinciale, Ramadi.

Ma nonostante i tentativi iracheni di arrestare l’avanzata jihadista, l’Isil continua nell’occupazione di città dalla vitale importanza strategica, ultime in ordine di tempo Walid e Turaibil, valichi di frontiera con Siria e Giordania. I miliziani controllano ormai oltre il 70% della provincia sunnita di Anbar, sebbene il portavoce dell’esercito iracheno, il generale Atta, abbia dichiarato ieri che le forze di sicurezza hanno strappato i due confini al controllo islamista con il sostegno logistico di tribù sunnite locali. Sarebbe caduta nelle mani dell’Isil anche la città di Nukhayb, a 130 chilometri dal confine con l’Arabia saudita, convitato di pietra del conflitto iracheno. Interviene anche la Siria: secondo fonti locali, l’aviazione di Damasco avrebbe bombardato la città irachena di Al Qaim, al confine, occupata sabato dall’Isil.

Le notizie che giungono, invece, dalla provincia di Kirkuk raccontano di una possibile faida interna alla provvisoria alleanza tra Isil e fedelissimi dell’ex rais Saddam Hussein. Molti ex baathisti si sono uniti in queste due settimane alle file islamiste, con l’obiettivo di riconsegnare alla comunità sunnita il controllo del paese. Sabato notte si sarebbero verificati, però, i primi scontri tra Isil e Esercito di Naqshabandi, guidato da un ex generale dell’esercito di Saddam, che ha partecipato attivamente alla presa islamista di Mosul. Preda di entrambi la città di Hawija, roccaforte Naqshabandi.

Prosegue intanto la visita del segretario di Stato Usa Kerry. Dopo aver incontrato lunedì il premier iracheno Maliki e i leader delle fazioni sunnite, Kerry ha raggiunto Irbil, capitale della regione autonoma del Kurdistan. La comunità curda, da decenni impegnata in una dura battaglia politica con Baghdad, rivendica maggiore autonomia e approfitta palesemente della debolezza dello Stato iracheno: i peshmerga hanno preso la città di Kirkuk e controllano buona parte delle zone a sud del Kurdistan, le più ricche di greggio. E proprio la questione energetica è diventata protagonista della spaccatura interna al paese, con le autorità curde impegnate nella vendita non autorizzata di greggio all’estero.

Ieri Kerry ha tentato di fare da mediatore tra le istanze irachene e curde. Il presidente curdo, Massoud Barzani, ha messo subito le carte in tavola: «Assistiamo ad una nuova realtà e ad un nuovo Iraq. È ovvio che il governo centrale ha perso il controllo di tutto, Maliki ha adottato le politiche sbagliate. È molto difficile che l’Iraq resti unito». Kerry, da parte sua, ha chiesto che i leader curdi partecipino ad un eventuale governo di unità nazionale al fianco di Baghdad (comunità fondamentale rappresentando il 20% della popolazione totale), richiesta a cui Barzani ha risposto con la minaccia di indire un referendum per l’indipendenza del Kurdistan.

E mentre i vertici politici discutono chiusi nelle stanze dei bottoni, l’Isil allunga le mani: la città di Halabja, simbolo della resistenza curda, sarebbe diventata il cestino da cui i qaedisti pescano nuovi membri. Le autorità curde locali hanno parlato di un contingente di giovani, circa 150, che nei mesi scorsi hanno deciso di aderire all’Isil (alcuni di loro starebbero combattendo in Siria), nella speranza di ottenere autonomia da Baghdad. La spaccatura dell’Iraq è ormai una realtà.