Quando ero piccola io si trattava soprattutto di «spizzarsi» per la strada, era fondamentale il contatto visivo, da cui si stabiliva o meno l’interesse tra le persone, tra ragazzi. Ora mi trovo a camminare per la strada, fra la gente, e mi accorgo che il 70% di queste persone che mi camminano intorno, è preso da questi maledetti oggetti tecnologici che tiene nelle mani come un prezioso tesoro. Aiuto. Ho paura. Siamo ancora fatti di carne e ossa, pelle e sangue, anima e cuore? Dove si può ritrovare quello spirito di conquista, quella brama di occhi negli occhi, di piacimento superficiale ma divertente? Dove posso andare a cercare questa dimensione ludica del flirt, dello smaliziato dichiarare apprezzamento solo tramite uno sguardo innocente?

Io stessa, in questo istante, sto camminando e dettando al suddetto orrendo oggetto tecnologico un testo che diventerà parola scritta, caratteri di calligrafia meccanica su un quotidiano di carta stampata. E allora, perché mi fa soffrire tanto questo passaggio, questa evoluzione, questo che a me sembra un peggioramento della comunicazione tra esseri umani? Voglio capire, non adeguarmi, non voglio adattarmi a qualcosa che qualcun altro mi impone. Il miglioramento qual è, dov’è? Nella velocità, nella frenesia, nell’orgia di dovere fare tutto nello stesso momento, senza rinunciare a nulla, volendo carpire ogni istante, ogni momento, ogni briciola alla ricerca di una simultaneità di emozioni fittizia, ricostruita, che non esiste da nessuna parte.

Sotto tutto ciò si nasconde solo la paura della morte. Come eluderla? Come non sentirsene attratti? Tra le pagine del libro che ho appena finito di leggere, I miei piccoli dispiaceri di Miriam Toews, edizione Marco y Marcos, il desiderio di morire e la possibile eutanasia di Elfrida, sorella di Yoli, la narratrice, sono trattati con la leggerezza del cucciolo di gabbiano che sta imparando a volare davanti al mio balcone. Toews non ha paura di chiamare le parole col loro nome e trova il tono con cui sfidare a rimpiattino il destino. Le due sorelle sono cresciute appartate seguendo la religione mennonita, piena di divieti, limiti e dogmi: hanno superato barriere per diventare ciò che volevano, la concertista una, la scrittrice l’altra.

Ma Elf sente di avere un pianoforte di vetro nel petto: qualsiasi movimento è sempre lì lì per rompersi. Difficile vivere con tale peso. Non le basta la fama, la stima, l’amore degli altri per voler continuare a vivere. Tutti intorno inventano giochi, leggono poeti, esplodono in richieste di aiuto pur di distrarla dal suo desiderio di oblio. Ma invano. Non sempre l’amore basta. Eppure il romanzo fa sorridere, il clima non è mai cupo nemmeno quando declina la violenza cruenta dei suicidi dei parenti: la cugina impiccata, il padre buttatosi sotto un treno.

Yoli, nel frattempo, riesce ad amare, a cadere, a commettere migliaia di errori, tutti in buona fede. Toews sa come sfuggire l’abisso. Io no, ma finché riuscirò ancora richiamare l’attenzione di uno sconosciuto per la strada fino a portare i suoi occhi nei miei non avrò paura della morte. Dopo, forse si, chissà…

Fabianasargentini@alice.it