Può la biografia di un agente letterario diventare un libro capace di catturare l’attenzione anche dei lettori che nulla sanno, e forse a cui nulla importa, di quello che accade dietro le quinte del sistema editoriale? Sì, se a scrivere il libro è un’autrice come Carme Riera, narratrice e saggista celebre nell’universo di lingua spagnola (anche se Riera, nata a Palma di Maiorca, compone inizialmente in catalano i suoi testi, alcuni dei quali tradotti in Italia per Fazi).

Ma soprattutto sì, se l’agente letterario in questione è la leggendaria Carmen Balcells, morta ottantacinquenne nel 2015, adorata e temuta in uguale misura dai suoi autori, fra cui si contano – giusto per citare solo due nomi, ma la lista è lunghissima, un albo d’oro della letteratura in lingua spagnola del XX secolo – Gabriel García Márquez e Adolfo Bioy Casares.

Questo, almeno, viene da pensare leggendo la recensione che Anna Caballé dedica su Babelia, il supplemento culturale di El País al volume Carmen Balcells, traficante de palabras appena uscito per Debate e presentato ieri a Madrid, presso la Real Academia Española, con la partecipazione di Mario Vargas Llosa, un altro esponente di quella gloriosa «scuderia». L’articolo si intitola Lacrime d’acciaio, e leggendolo si oscilla fra l’incredulità di fronte agli eccessi di una figura che in inglese si definirebbe larger than life («insicura, ansiosa, autoritaria, controllata fino alla follia, con un istinto nato per il potere, amante del controllo assoluto del suo ambiente, facilmente emotiva, intuitiva, pratica, intelligente, ambiziosa, sconcertante, superstiziosa, veemente») e l’ammirazione per un talento e un intuito eccezionali.

Basti pensare, a proposito di García Márquez, che fu lei a intercettare e a comprendere il valore di Cento anni di solitudine, quando l’autore era un ignoto giornalista colombiano. Il che non le impedì, quarant’anni dopo (come ha ricordato Francesca Lazzarato su questo giornale all’indomani della morte dell’agente), di ribattere a Gabo, che le chiedeva se fra loro si potesse parlare di affetto: «A questo non posso rispondere, perché rappresenti il 36,2% del nostro fatturato».

Non deve essere stato facile, il lavoro di Carme Riera, anche per l’amicizia che l’ha legata a Balcells. «Una condizione non ottimale, e nemmeno favorevole, per scrivere una biografia», nota Anna Caballé: «Fino a che punto si possono combinare le opposte esigenze di discrezione (dovuta all’amicizia) e di sincerità (dovuta al genere)?». Pare però che Riera se la sia cavata bene e che sia riuscita a evitare «di cedere all’agiografia di un personaggio mitizzato nel corso degli anni, con la sua onnipresenza nella vita letteraria spagnola e internazionale», dando voce sia ai molti che hanno tratto benefici dalla personalità incandescente di Balcells sia ai pochi che ne sono rimasti scottati.

Fra questi, il figlio di Manuel Vázquez Montalbán, Daniel Vázquez Sallés, autore di un libro dedicato al padre, Recuerdos sin retorno e dipendente dell’agenzia per tre anni, che lancia un’invettiva soprattutto contro gli scrittori, colpevoli di «avere lavorato come formiche operaie intorno alla regina madre». E forse è vero, come probabilmente è vero che non doveva essere facile sottrarsi alla seduzione di chi era capace di mandarti un elicottero per farti uscire da un ingorgo (è accaduto, pare, a Nélida Piñon).

Dettagli, in fondo, perché quello che conta, quello che resterà – nonostante il declino dell’agenzia che porta il suo nome – è il contributo che Carmen Balcells ha dato nella difesa dei diritti degli autori da lei rappresentati. Ma ancora, e di più, nell’impegno nel far conoscere al mondo tanti libri che siamo stati felici di leggere.