«Dopo il dramma che si è consumato nel canale di Sicilia, il panorama è preoccupante e la pressione è molto forte sui paesi che confinano con quelli che oggi sono porti di partenza per la stragrande maggioranza dei migranti. Parlo di Turchia, Egitto, Tunisia e Libano. Ma anche della stessa Libia, un paese in cui regnano la violenza quotidiana e i network che gestiscono il traffico di esseri umani».

Non usa proclami di guerra né facili poemi pietistici Carlotta Sami, portavoce per il Sud Europa dell’Unhcr, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. «I paesi chiamati per primi a fronteggiare l’esodo dei profughi sono al collasso: inizia a stentare la capacità di garantire l’assistenza sanitaria a tutti, i cicli d’istruzione, la prosecuzione delle attività del World Food Program: se c’è un allarme da lanciare adesso, è questo», ha spiegato ieri al manifesto.
Parole che restituiscono una misura politica a un dibattito che da lunedì scorso, sull’onda di alcuni titoli strillati sulla nostra stampa, aveva ridotto la complessità del fenomeno migratorio al solo affaire scafisti. Una lettura resa ancor più allarmante anche dalle dichiarazioni del procuratore della Repubblica di Palermo, Franco Lo Voi, che nella mattinata di lunedì aveva dichiarato che «dai dati in nostro possesso, sulle coste libiche ci sarebbero circa un milione di migranti pronti a partire per l’Europa»: uno spauracchio che non ha certo aiutato a decifrare una circostanza fortemente incerta.

Se già l’Ocse diceva che negli ultimi 15 anni non si è mai superato il picco annuale di 515 mila stranieri entrati (come nel 2007, compresi gli arrivi via mare e via terra, i migranti regolari con visto di lavoro o per turismo), oggi sono le parole di Carlotta Sami a darci una dimensione più equilibrata delle stime previste. «Francamente non so quali siano i dati in possesso della Procura di Palermo – dice – . Per quanto mi riguarda la stima dell’anno in corso sembra ricalcare quella del 2014, quando giunsero via mare all’incirca 200 mila persone e poche decine di migliaia via terra».

Nessun clamore quindi, anche se la portavoce dell’Unhcr non intende sottovalutare il fenomeno. «Ho accolto con favore – prosegue – l’impegno assunto ieri a Lussemburgo dai ministri degli Esteri e dell’Interno dell’Unione europea, i dieci punti presentati dal commissario per l’Immigrazione Dimitri Avramopoulos, il law enforcing per contrastare la tratta degli esseri umani. Tuttavia non è chiaro come ciò verrà eseguito, bisogna impegnarsi per facilitare i ricongiungimenti familiari già previsti nel Regolamento Dublino III e soprattutto c’è stata scarsa attenzione sul sistema di accoglienza dei rifugiati e le operazioni di ricerca e di salvataggio in mare: tre fattori per noi assolutamente determinanti. Dal nostro punto di vista, Poseidon e Triton sono solo soluzioni parziali».

Il problema di leggere il fenomeno migratorio solo con la lente dell’ordine pubblico e delle operazioni di pattugliamento rischia di lasciare lettera morta le proposte di insediamenti preventivi per la raccolta di domande di asilo sulle coste più gettonate per i viaggi della speranza. «Siamo pienamente d’accordo con una soluzione del genere – ha spiegato Sami – ma ciò può avvenire alla sola condizione che una volta esperito questo passaggio al migrante deve essere riconosciuto il diritto di poter liberamente circolare nel territorio dell’Unione Europea, e ciò va chiarito con tutti i Paesi membri dell’Unione».

Intanto in Italia si rincorrono le proteste di sindaci e presidenti di regioni che non intendono accogliere nessuno. Un fatto che non è sfuggito alla portavoce, che ha concluso dicendo: «In Italia solo 500 comuni su 8 mila prestano accoglienza ai 65 mila migranti presenti. Pensate che con meno apprensione e un po’ più di collaborazione, ognuno degli 8 mila comuni italiani potrebbe accogliere meno di 10 migranti, lasciando la parola “emergenza” a situazioni di più ampia portata».