Seduto alla sua scrivania, Eladio, il protagonista del Pozzo, novella d’esordio di Juan Carlos Onetti, stabilisce con decisione fulminea di mettersi a raccontare di sé, perché «un uomo, quando arriva a quarant’anni, deve scrivere la storia della sua vita, soprattutto se gli sono capitate cose interessanti. L’ho letto non so dove». Qualcosa del tono e della durezza di Eladio ha infiltrato la voce narrante del romanzo di Carlos Liscano, Verso Itaca (traduzione di Flora Arena e Luisa Stella, pp. 298, € 16,00), scritto poco dopo i quarant’anni e edito in Uruguay nel 1994. Edizionidellassenza pubblica il romanzo sia singolarmente, sia all’interno di un cofanetto che contiene altri titoli dell’autore: L’informatore, Il lettore erratico, e una selezione della sua produzione teatrale (questa in edizione bilingue), tutte opere, come peraltro Verso Itaca, inedite finora in Italia.

Liscano ha fatto parte in gioventù del movimento rivoluzionario armato dei Tupamaros e dal 1972 al 1985 è stato prigioniero politico nelle carceri del regime uruguaiano. Emigrato subito dopo la scarcerazione, avvenuta con la fine della dittatura, ha trasformato la sua erranza nel Vecchio continente in una personale epopea narrativa della liberazione, nella quale riversare, e reinventare, anche l’elemento di critica radicale della società che aveva informato la prima parte della sua vita.

Nel suo itinerario europeo – perlopiù tra Spagna e Svezia, guardandosi bene dalla Francia e da Parigi, meta di innumerevoli emigré, per la ragione che «i francesi mi hanno sempre infastidito, non so perché» – il protagonista di Verso Itaca sembra disorientato dalla sua stessa libertà di movimento, e la scrittura in prima persona, nervosa e a tratti violenta, asseconda i suoi repentini scarti dal tracciato.

Vladimir – questo il suo nome, scelto da genitori comunisti in onore di Lenin – subisce la condizione di immigrato irregolare e emarginato, lavora in nero, deve (o piuttosto vuole) spostarsi di continuo, e scopre, via via che avanza il suo cammino nel disincanto, un’Europa terribile, inospitale, nella quale non solo è impossibile costruirsi una nuova identità, ma finanche le proprie radici sono messe in pericolo da una invisibile spinta verso l’amnesia: Vladimir, infatti, dimentica ciò a cui teneva di più, i libri che ha letto, e sembra ricordare – selezione tutt’altro che casuale – soltanto alcuni brani delle opere di Onetti.

Spetta alla ricerca – incerta, pretestuosa – di una donna conosciuta anni addietro completare la composizione archetipica, e qui naturalmente parodica, del viaggio «a Itaca». Ostentando una essenzialità della prosa che asseconda le brutali oscillazioni dell’umore del protagonista, incline all’autodenigrazione e ai commenti lapidari ma il cui fuoco interiore forse non è del tutto sopito, Liscano trascina il lettore dentro il travaglio umano di Vladimir, risultando tanto coinvolgente quanto, nei momenti più amari in cui il personaggio si fa puro sguardo sulle miserie del mondo, deliberatamente urticante.