Dal generale San Martín, mitico libertador latinoamericano, a Maradona e Messi, passando per Evita, Perón, Che Guevara, il pugile Monzón e il pilota automobilistico Fangio… da poco più di due secoli, data della sua indipendenza dalla vecchia «Madre Patria», l’Argentina ha sempre mostrato una particolare predisposizione a creare miti fondativi e autolegittimanti. Un paese che in appena cento anni giunse a decuplicare la sua popolazione, grazie a un’inedita «alluvione migratoria», ancora oggi vive con una certa ossessione l’ansia di proiettarsi sulla scena internazionale grazie ad alcuni dei suoi miti più celebri. Tra questi, Carlos Gardel continua a essere il più universalmente amato, coccolato e idolatrato. In Argentina e Uruguay gli si tributa un vero e proprio culto laico che finisce per coincidere con quello della Patria stessa. Dal settembre 2003 la sua voce rientra ufficialmente nel Programma «Memoria del Mondo» dell’Unesco, accanto al documento originale della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, all’eredità documentale dello schiavismo nei Caraibi, all’Archivio dei Diritti umani sulla dittatura militare cilena del 1973-1989, al negativo originale del film di Luis Buñuel Los olvidados, alle illustrazioni dei gesuiti in America.

24CARLOSGARDEL

«Ogni giorno che passa… canta sempre meglio», continuano a dire di lui gli ammiratori di tutto il mondo, nonostante siano trascorsi ormai ottant’anni dalla sua tragica fine, il 24 giugno 1935, nella terribile collisione tra due velivoli nell’aeroporto di Medellín, in Colombia. Eppure, nonostante le decine di biografie pubblicate, Gardel continua a rappresentare un misterioso e affascinante rompicapo. La sua vita è circondata in gran parte da leggenda. Quanti anni aveva al momento della morte? Era nato nel 1890 a Tolosa, in Francia, o nel 1887 a Tacuarembó, in Uruguay? Che relazioni aveva con le donne? Per non parlare delle cause dell’incidente aereo. È stato scritto di tutto. Una disputa di Gardel con il pilota per rivalità amorose; una roulette russa tra i piloti, un attentato della mafia, fino ad arrivare a un possibile regolamento di conti conclusosi con una sparatoria a bordo dell’aereo per questioni di droga.

Gardel viveva a Buenos Aires, nell’Abasto, quartiere che proprio per questo è oggi mecca di migliaia di pellegrini provenienti da tutto il mondo. L’area prende il nome dal più celebre mercato cittadino, purtroppo non sopravvissuto alle nuove esigenze dell’economia e trasformato da qualche anno in un centro commerciale tra i più grandi della città, l’Abasto Shopping. Sulla parete della stazione metropolitana del quartiere, chiamata proprio «Carlos Gardel», si trova una parete di maiolica colorata dedicata all’illustre «morocho del Abasto» decorata nel famoso stile del fileteado porteño con la scritta «Eterno nell’anima e nel tempo».

Con la sua registrazione del tango Mi noche triste, di Contursi e Castriota, nel novembre del 1917, nasce il tango-canzone moderno. Vale a dire quel tango sentimentale che secondo Borges, proprio per colpa di Gardel, aveva corrotto il vecchio genere originario. Un tango fatto di storie melodrammatiche di malavita, accoltellamenti, tradimenti, sfide per l’onore perduto e la dignità, che lasciarono irrimediabilmente il posto a versi e musiche «piagnucoloni», che privarono i suoi vecchi protagonisti, quei compadritos tanto amati da Borges, della virtù virile del coraggio e della vanagloria, introducendo sentimenti d’amore e di dolore, accenti di perdono e nostalgia «Nei loro cuori comincia a farsi strada la pietà. E la pietà non è solo cosa da donne; è cosa di cristiani!» chiosava l’illustre scrittore argentino.

Al tempo stesso con Gardel nasce il moderno cantante di tango. Grazie alle sue straordinarie capacità interpretative, unite a un sorriso seduttore, all’eleganza e a una spiccata simpatia ottenne un successo senza precedenti nella storia della canzone in lingua spagnola. Durante la sua carriera frequentò senza troppi problemi tanto gli amici del caffè quanto uomini illustri di ogni dove, riuscendo sempre a rallegrare gli incontri grazie soprattutto ad una naturale abilità nel raccontare aneddoti divertenti e, all’occasione, esibendosi in un repertorio vario di canzonette napoletane, fado, shimmy e brani d’operetta.

Un uomo che cominciò la sua carriera cantando in duo con un vecchio amico e che nel corso del Novecento fu chiamato alternativamente «il mago», «il fringuello», «il maestro», «l’inossidabile», «l’imbattibile», «la Voce», «l’unico», «il re» o, più confidenzialmente, «il brunetto dell’Abasto». Il viso sempre ben truccato per occultare un’età che nessuno seppe mai attribuirgli con certezza, mascara sugli occhi e due cicatrici dietro le orecchie a perenne monito di alcuni interventi di chirurgia estetica, testimoniavano un culto ossessivo per l’immagine scaturito intorno ai trent’anni, nel rendersi conto che essere alto un metro e settanta e pesare centoventi chili era troppo per chi come lui nutriva tanta ambizione. Se lunghe sessioni in palestra gli consentirono di perdere una quarantina di chili, il problema dell’altezza fu presto risolto grazie ad una serie di scarpe su misura, dotate di zeppe invisibili per fargli guadagnare all’occorrenza qualche importante centimetro in più.

Mona_Maris_y_Carlos_Gardel

Dopo un esordio nel 1912 come interprete di canzoni del folclore, ben presto Gardel maturò la consapevolezza che le canzoni di campagna non erano più adatte ai nuovi abitanti di Buenos Aires. L’immigrazione di massa aveva cambiato la natura stessa della città, la sua struttura, le sue necessità e al tempo stesso gli stili di vita, le mode e i consumi dei suoi abitanti. Per queste ragioni nel 1925, liquidato il proprio socio José Razzano, decise di intraprendere la sua strada in solitario. All’epoca non poteva ancora immaginare che stava gettando le basi del suo successo planetario.

Gardel si convertì così in un artista complesso, originale, spesso imprevedibile, che sapeva alternare tanghi carichi di forte contenuto sociale (Pan, Acquaforte, Al mundo le falta un tornillo, Al pie de la santa cruz) ad altri più compiacenti, adatti all’assidua frequentazione dei salotti altolocati. Cattolici o laici, reazionari o progressisti, c’era sempre spazio per tutti nella sua agenda. Un certo opportunismo politico unito ad ampie dosi di savoir faire e a uno straordinario fiuto per gli affari fecero il resto. La coerenza intellettuale non sembrò mai preoccuparlo eccessivamente, come testimoniato da gran parte delle sue scelte musicali. Dal vals A Mitre, dedicato all’omonimo presidente liberale argentino, passando per la Milonga del Novecientos, con i celebri versi di Homero Manzi in onore dello storico leader dei radicali Leandro Alem, fino ad arrivare a Viva la patria!, cantato per celebrare il golpe militare del generale Uriburu del 6 settembre 1930, primo di una lunga serie di tragici pronunciamenti delle forze armate nella vita nazionale.
Dopo uno sfortunato debutto spagnolo del 1924, al seguito della compagnia teatrale Rivera-De Rosas con l’opera di Florencio Sánchez Barranca abajo, Gardel tornò in Europa una seconda volta, tre anni dopo, nel 1927. Fu la sua definitiva consacrazione. Acclamato dai più importanti teatri di Madrid, Barcellona, Bilbao, San Sebastian e Santander decise di tentare la sorte a Parigi. Una vera scommessa considerando che fino ad allora i suoi concerti erano stati concepiti esclusivamente per un pubblico ispanico. Come avrebbero reagito i francesi a un tango i cui testi non avrebbero capito facilmente? Gardel giunse nella Ville Lumière il 10 settembre 1928, per debuttarvi il 2 ottobre 1928, al cabaret Florida di Place Pigalle. Un successo durato quattro mesi gli valse un nuovo contratto in una sala degli Champs-Élysées e, infine, la notte del 5 febbraio 1929, il debutto nel prestigioso Teatro Ópera.

Poi fu la volta del cinema, grazie a un importante contratto con gli studi francesi di Joinville, per la realizzazione, nel 1932, di Luces de Buenos Aires, Espérame, La casa es seria e Melodia de arrabal. Si trattava di storie di amori contrastati, tradimenti e peripezie sentimentali, di poca fantasia ma di grande successo. A partire dal 1930, i produttori decisero di affiancargli Alfredo Le Pera, un uomo che di lì a breve sarebbe diventato il suo più inseparabile collaboratore, coautore di tutti i tanghi scritti a partire da allora. Tra questi i celebri Mi Buenos Aires querido, Por una cabeza, El día que me quieras, Cuesta abajo, Soledad e Sus ojos se cerraron.

L’idea era quella di creare una sorta di nuovo Rodolfo Valentino in chiave ispanica, che sapesse ammaliare col suo fascino da latin lover e che in più cantasse tango. Gardel era la persona giusta. La prima necessità fu quella di abbandonare ogni riferimento al lunfardo, la lingua parlata negli angiporti del Rio de la Plata da migliaia di immigrati provenienti da tutto il mondo, per rendere i testi più facilmente comprensibili senza però perdere le colorite sfumature locali. L’invenzione di questo nuovo tipo di linguaggio si deve proprio ad Alfredo Le Pera. Il loro fu un fortunato sodalizio che durò fine alla fine. Perirono entrambi nell’incidente aereo di Medellín.
Il 27 dicembre del 1933 Gardel giungeva a New York per dare inizio a un periodo tra i più prolifici della sua vita, purtroppo l’ultimo. Un contratto con la NBC gli valse il compenso record, per un artista straniero, di 1.400 dollari mensili. I mesi trascorsi in Francia lo avevano trasformato in un abile imprenditore. 25 mila dollari oltre al 25% degli incassi. Queste, nel 1934, le condizioni dettate alla Paramount per la partecipazione come protagonista a Cuesta abajo e a El tango en Broadway. Poi arrivarono El día que me quieras e Tango bar (1935). Di una fugace apparizione nel musical The big broadcast (1936), interpretato da alcuni dei più noti artisti della Paramount, da Bing Crosby a Wendy Barrie, con Gardel in veste di unico cantante di lingua spagnola, si sono purtroppo perse le tracce: le scene in cui compariva furono eliminate in seguito alla sua tragica morte.

Da tempo la Paramount, attraverso una serie di pellicole a budget contenuto da realizzarsi negli studi newyorchesi di Long Island, testava le stelle di Broadway per poi eventualmente chiamarle a Hollywood e inserirle nel circuito principale. In particolare, grazie ad accordi commerciali con case di produzione secondarie interessate ai mercati esteri, il colosso statunitense affittava a terzi i propri studi cinematografici, impegnandosi anche, in cambio di parte dei proventi, nella distribuzione di queste opere marginali. Gardel raggiunse un tale successo presso il pubblico latinoamericano residente negli Stati uniti che la Paramount gli offrì ben duemila dollari a settimana per esibirsi nel suo principale teatro di Broadway. Egli rilanciò chiedendone seimila, sostenendo che a New York vi sarebbero stati almeno mezzo milione di ispanici disposti a pagare un dollaro ciascuno al mese per sentirlo cantare. Ottenne il compenso, anche se a causa della prematura morte non avrà il tempo di goderselo.
Con lui scompare una forma di cantare tango che difficilmente potrà tornare. Con la morte di Gardel la celebre musica rioplatense cambiava d’abito, per rinascere, come un’araba fenice. Il tango entrava per sempre nella storia. Dimitri Papanikas