Pian piano, è come se emergesse, o perfino si consolidasse, una storia complicata, maltrattata ma importante, soprattutto per noi e per le vicende nostre: quella degli anarchici italo-americani. È stato un pezzo d’Italia arrivato agli Stati Uniti e da noi sempre osservato con qualche curiosità, ma anche diffidenza e ostilità; in maniera periferica e strana, accettata e respinta, tenuta presente e rifiutata. Al centro, c’è sempre stato il «caso Tresca», su cui ancora, a ottanta anni dalla sua drammatica scomparsa, non tutto è chiaro e certo, pur essendo molto ciò che ormai si conosce. Si prenda l’ultimo volume pubblicato in italiano: Carlo Tresca Ritratto di un ribelle di Nunzio Pernicone, edito da Anicia, casa romana specializzata in pedagogia. Il libro è corposo (410 pagine, purtroppo le ultime mancano per un difetto di stampa, euro 30,00). L’edizione originale, in inglese, risale al 2005 ed era di Palgrave Macmillan; nel 2010 ne uscì una seconda edizione, più ampia, pubblicata dalla AK Press di Oakland, che però stranamente questa italiana non ha considerato. L’autore morì tre anni dopo, nel 2013. Pernicone è stato uno storico molto accurato e interessante, professore in varie università (compresa la Columbia), anche lui un italo-americano legato al proprio passato: era figlio di Salvatore, un musicista, attore, direttore d’orchestra, che aveva lavorato per gli anarchici (e per Tresca), e per questo forte ispiratore di Nunzio.
In aggiunta a quella biografia adesso da noi si incominciano a vedere varie opere su quel notevole personaggio che è stato appunto Carlo Tresca. Lo stesso Pernicone ne aveva curato l’Autobiografia, pubblicata nel 2003 a New York e tradotta dalla stessa Anicia nel 2006: un libro messo insieme grazie al recupero di vari testi e soprattutto di una prima versione tentata dallo stesso Tresca, ma rimasta inedita. Qualche pagina sparpagliata Pernicone l’ha invece trovata nel «fondo Tresca» e vi si parla tra l’altro di Mussolini. Nell’insieme è un testo però solo sulla prima parte della vita dell’anarchico.
Nato a Sulmona nel 1879, emigrato in Europa (in Svizzera incontrò appunto Mussolini), poi negli Usa nell’agosto 1904, fu ucciso a New York, sulla Fifth Avenue, da vari colpi di pistola l’11 gennaio 1943. Per l’omicidio non ci fu nessuna incriminazione, in particolare sul movente e su chi avesse avuto questo movente. Fu subito chiaro solo chi fosse l’assassino: un gangster italiano, Carmine Galante, che però rimase in galera appena qualche mese, poi fu rilasciato perché la sua colpevolezza non fu dimostrata in modo netto (vedi le pp. 313-318). In questo senso, perfino sconcertante fu l’atteggiamento del testimone dell’omicidio, Giuseppe Calabi, il padre di Tullia Zevi, futura presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. Avvocato con moltissimi rapporti (mai tutti studiati con attenzione), ma antifascista come Tresca nella Mazzini Society, Calabi era accanto a lui quando fu ucciso. In un primo tempo indicò con precisione Galante come l’assassino. Ma poi, unico testimone, fece marcia indietro e Pernicone ha alluso in modo pesante alla sua «ambiguità» (p. 317).
Per le altre opere su Tresca, proprio nel 2013, anno della morte di Nunzio, in Italia è uscito un libro della Franco Angeli intitolato La poesia dell’azione. Vita e morte di Carlo Tresca, autore un giovane studioso, Stefano Di Berardo, di cui non si conoscono altri lavori. Ed è un caso piuttosto problematico: soprattutto leggere il libro di Pernicone del 2005 (nel 2013 disponibile solo in inglese) accanto a quello di Di Berardo: intere pagine di quest’ultimo sono tratte, magari con piccole modifiche, ma non sempre piccole (e appena qualche citazione, talvolta imprecisa), da Pernicone 2005.
Nel 2018 all’anarchico italo-americano si è dedicato anche Enrico Deaglio, in un romanzo pubblicato da Sellerio, La zia Irene e l’anarchico Tresca. Deaglio parte dalla crisi finanziaria di quell’anno e, attraverso una supposta collaborazione dei servizi segreti italiani, torna a settant’anni prima e a Tresca, mettendo in piedi una ricostruzione delle vicende dell’anarchico fino alla sua uccisione. Deaglio si occupa in particolare dei gangster italo-americani che potrebbero essere stati i mandanti dell’«omicidio Tresca» (e che poi, dopo la guerra, avrebbero trascinato la politica italiana nella loro corruzione). Secondo Deaglio è ciò che accadde appunto anche nel 2018. Eppure egli finisce per considerare mandante dell’omicidio il comunista Vittorio Vidali, che, pure, il 16 gennaio 1943 si trovava a Città del Messico.
Ancora: nell’ottobre 2019 un editore di Casalvelino Scalo, provincia di Salerno, Giuseppe Galzerano, ha pubblicato un notevole libro. Autrice un’anziana studiosa che vive a Sulmona, città natale di Tresca, Concettina Falcone Salvini (82 anni): si intitola Il Martello di Carlo Tresca ed è tutto (ben 548 pagine, e 25,00) dedicato alla rivista dell’anarchico italiano, appunto «Il Martello». Con vari altri documenti e molte illustrazioni. Era una rivista che Tresca aveva acquistato e diretto a New York dal 1916 fino alla morte: per 27 anni e con varie difficoltà. La studiosa ha dedicato pagine e pagine ai numerosi articoli del direttore, ma anche perfino al lungo file dell’FBI che se ne occupò. È un altro libro ricco e utile, che merita più interesse di quello che gli è stato dedicato finora.
Ancora. Nel luglio 2021 ci ha pensato Maurizio Maggiani, nel suo romanzo Eterna gioventù (Feltrinelli), a riscrivere un pezzo della biografia di quel «libertario»: una vita da incrociare con quella di altri «libertari» come lui. In tanti, insomma, intorno a Tresca, cercando di capire chi fosse questo brillante, effervescente e complicato anarchico, che John Dos Passos, suo amico fino all’ultimo giorno di vita, definì «il miglior tipo di cervello italiano, il tipo machiavellico, freddo, libero, sempre pronto a muoversi» (Pernicone, p. 313). Negli Usa fu una sorta di maestro per tutti gli anarchici, a partire da quelli «sindacalizzati» nelle singole aziende, ma anche per vari marxisti, liberali e soprattutto antifascisti, con cui ebbe relazioni (e fu anche di guida) fino all’ultimo giorno.
Nunzio Pernicone per parte sua ha condotto un’analisi documentaria molto accurata e dettagliata, lavorando sulle memorie e sugli archivi che hanno raccolto i documenti su Tresca: da quelli della polizia di New York e quelli giudiziari, all’FBI – con molto Hoover dentro – all’Archivio di Stato dell’Aquila e quello centrale di Roma. Per aggiungere poi colloqui e approfondimenti con personaggi che lo conobbero direttamente (a partire dall’adorante figlia, Beatrice) o indirettamente; e i suoi articoli e i suoi giornali, parecchi, e moltissimi americani, ma anche italiani. Nunzio ha perfino studiato le sue operette teatrali contro il fascismo e Mussolini, nelle quali il padre Salvatore fu il direttore d’orchestra. Quell’anarchico ebbe una vita piena di sfumature, con relazioni allargate e non sempre chiarissime. Per esempio adesso viene fuori in maniera evidente che Tresca aveva relazioni anche con Edgar Hoover. Ma quali? Pernicone l’ha definita una «sottile arte italiana di arrangiarsi» (p. 118): bella definizione.
Fu una vita davvero variegata e impressionante. E abile. Tresca subì un numero eccezionale di arresti (ben 36) e processi di vario tipo e anche vari anni di galera. In Italia, prima di fuggire nel 1904 aveva già ricevuto due condanne per calunnia e diffamazione quando, all’età di soli 22 anni, a Sulmona aveva incominciato a dirigere un giornale socialista. Ma fu l’arrivo negli Usa a essere ancora più sconvolgente. Subito direttore di un altro giornale socialista, a Filadelfia, passò all’IWW, l’International Workers of the World, il sindacato nato nel 1905 e che organizzava gli operai non wasp, emigrati di varia origine «etnica»: italiani, ebrei, spagnoli, perfino orientali come i siriani. Non fu iscritto all’IWW, ma ne divenne subito un punto di riferimento con un altro giornale, e italiano. Poi un altro. E poi «Il Martello». Oratore acclamato (parlava l’italiano e ci mise parecchio a imparare l’inglese, ma si faceva accettare), attirava le folle operaie: si vede bene nelle foto dei giornali. Ma anche sindacalisti e intellettuali di genere diverso: stalinisti prima, ma trotzkisti poi, e liberali, socialisti, perfino qualche cattolico. Dos Passos aveva ragione: il «cervello italiano» del suo amico funzionava.
Restano però aperte alcune questioni. Per esempio, il sindacalismo dell’IWW: basta ricordare un po’ di Mario Tronti, il suo Marx a Detroit di Operai e capitale, per vedere come l’IWW fu il vero nemico del profondo sindacalismo americano, il CIO («la più avanzata organizzazione politica degli operai») che Roosevelt appoggiò e fece crescere negli anni trenta. E poi le tante relazioni di Tresca, in particolare con le fazioni italiane (alcune ricche dei soli gangster o dei «preminenti», come li chiamavano), che poi si schierarono con l’esercito Usa approdato con la guerra in Italia ed entrarono anche nella nostra politica. Ci sono perfino interrogativi sui suoi rapporti con Mussolini, che Tresca conobbe di persona nel 1904 e seguì a lungo con interesse e attenzione (lo si vede nell’Autobiografia). Alla fine, anche quel «machiavellico», tirato fuori da Dos Passos, ha davvero un senso. In una storia ancora davvero complicata.