Nonostante i progressi della ricerca e della critica letteraria, l’opera di Carlo Levi appare ancora legata alla dimensione meridionale, vagamente neorealistica, riflesso di una concezione idealizzata e idealizzante di un sud italiano mitico, depositario di valori intrinsecamente positivi ed edificanti tanto quanto consolatori e in definitiva inoffensivi. Giunge pertanto quasi con sollievo un libro che come quello di Riccardo Gasperina Geroni, Il custode della soglia. Il sacro e le forme nell’opera di Carlo Levi (Mimesis, pp. 233, euro 22), riporta il discorso leviano entro una più problematica riflessione intorno all’umano, alle sue lacerazioni, alle sue pulsioni.

La soglia evocata nel titolo è quella che separa il divenire della storia dalla dimensione temporale scandita dalla forza vitale e drammatica che riposa nell’individuo e che Levi descrive e interroga nella propria opera sin dalla fine degli anni Trenta in Paura della libertà e più tardi nelle pagine di Cristo si è fermato a Eboli (1945). Essa è da intendersi sia come frontiera che come luogo di passaggio, come varco dal quale è possibile fare esperienza di una realtà che, come si osserva nelle pagine dedicate alla Lucania, trascende il corso storico per rivelare il carattere magmatico, contraddittorio e fisico delle passioni umide e primitive che hanno dato forma simbolica al sacro, alla parola e all’ethos collettivo delle comunità contadine al di là di Eboli.

OLTRE QUEL CONFINE il tempo primitivo diviene oggetto di osservazione e riflessione nel tentativo di recuperare non tanto una visione del mondo sistematica e conchiusa con il rischio dell’anacronismo e dell’utopismo nostalgico, ma la linfa vitale e primigenia da cui estrarre una nuova forza creativa che la civiltà occidentale ha smarrito. Alla soglia si aggiunge dunque la riflessione sul tema dell’origine, che in un’ottica debitrice di Giambattista Vico – riletto da Gasperina Geroni attraverso Walter Benjamin – assume in Levi la forma ricorsiva e straripante di principio vitale che pulsa sotto la superficie della storia, ne condiziona le traiettorie, per emergere come discontinuum che riscatta l’umano e la sua irriducibile complessità.

Non mancano inoltre i riferimenti ad altri autori che in maniera più o meno diretta hanno influenzato lo scrittore torinese, tra cui Jung, Frazer, Freud, Ortega y Gasset e Lévi-Bruhl. Complessivamente se ne ricava un’ampia descrizione dell’antropologia leviana centrata sul rapporto tra umano e cosmo, tra io e alterità in un senso che rifiuta qualsiasi forma di meccanicismo o di riduzionismo materialistico, e che offre un saggio antidoto al dilagante antiumanesimo moderno della società della tecnica conosciuta dallo scrittore attraverso il fascismo.
Occupano inoltre grande spazio i riferimenti alla Torino degli anni Trenta, ma soprattutto l’analisi dell’influenza del pensiero di Piero Gobetti e in particolare del suo antifascismo che ha ispirato il Partito d’Azione nella lotta di Liberazione.

LA TENSIONE MORALE che se ne ricava, non esente da ingenuità e volontarismo in Paura della libertà, si offre nel secondo romanzo di Levi, L’orologio, in forma di più attento e affilato sguardo critico, capace di restituire al lettore l’amarezza lucida della disillusione dovuta all’esaurimento degli ideali resistenziali. Senza tuttavia escludere una nuova possibilità di liberazione, in questo viaggio nella Roma liberata del 1945 Levi mostra l’incapacità di tradurre il patrimonio esperienziale della Resistenza in pratica di governo, in forma di azione politica organizzata libera da compromessi al ribasso.
Chiude il volume un capitolo interamente dedicato a Quaderno a cancelli (1979), fra tra i testi meno frequentati dalla critica, in cui è centrale il tema della memoria e dei modi di recupero del passato per oltrepassare la soglia del presente.

In quest’opera di carattere diaristico, scritta nell’oscurità durante la lunga degenza ospedaliera per un’operazione alla retina, i «cancelli» sono anzitutto le fitte righe orizzontali e verticali che guidano la scrittura, ma sono anche, in senso metaforico, le barriere che vincolano il pensiero e danno direzione alla vita, la razionalizzano, senza tuttavia emendare quel dato spirituale e umano irrelato da qualsiasi rapporto di necessità. Nello sguardo all’indietro verso il passato, in cui ritornano molti dei temi dell’opera precedente, Quaderno a cancelli è il romanzo del «futile», nozione chiave per lo scrittore torinese, che come mostra Gasperina Geroni indica l’irriducibile, l’eccedenza vitale e dunque ancora una volta ciò che permane oltre la soglia del divenire storico.