Il finale simbolico di un pappagallo bianco resistente nei secoli resterà nei nostri desideri inesauditi di vedere un film atteso per anni ma che il suo autore (Bernardo Bertolucci) non ha potuto iniziare anche se «Paradiso e Inferno» (questo il titolo scelto) si annunciava già come la grande biografia filmica su Carlo Gesualdo. Circola invece da un po’ di tempo un ricchissimo libro che occorre al più presto liberare dalla nicchia degli studiosi e degli eruditi e portare all’attenzione di un pubblico più vasto.
«La più accurata biografia mai prodotta sulla figura di Carlo Gesualdo da Venosa, uomo e musicista». Così Glenn Watkins, studioso emerito del musicista madrigalista ritenuto da tanti precursore della musica moderna, nell’introduzione al poderoso ed elegante volume dello storico Annibale Cogliano che al «princeps musicae» ha dedicato lo studio storico-critico più analitico e minuzioso. «Carlo Gesualdo da Venosa. Per una biografia» è un libro di pagine 468, con ricco corredo di stampe d’epoca più cd musicale (Giuseppe Barile Editore, euro 60). Il cd + il “libretto d’opera» è curato da Dinko Fabris, altro studioso di Gesualdo. E si può dire che, in attesa del film che Bertolucci un giorno farà su questo musicista che ha intrigato tanti artisti (Igor Stravinkij andò in pellegrinaggio al suo castello ben due volte negli anni 50 e gli dedicherà l’opera «Monumentum pro Gesualdo» nel 1960), questo volume ha il sapore della magniloquenza filmica del kolossal, dell’intreccio tra storia, cronaca, delitti (Carlo Gesualdo fu il mandante dell’uccisione della consorte e del suo amante), tentativi di redenzione (forse), in un approccio alle questioni musicali che si fa prima storia del personaggio e del suo tempo, poi rapporto ambiguo dell’eroe con il mistero attraverso streghe e malefici, quindi abbandono spesso doloroso all’arte della musica. Carlo Gesualdo, vissuto tra il 1566 e il 1613, è l’autore di un corpus musicale di «Responsori», «Sacre Cantiones», «Mottetti», «Madrigali». Ma qui non è solo l’analisi della musica ad essere attraversata dal senso della storia ma il rapporto tra nord e sud d’Italia visto con gli occhi di un approccio alla medicina (e alla contraddizione uomo-donna) del tutto diverso: si leggano le belle pagine sulla malattia di Eleonora d’Este seconda moglie di Gesualdo. Questo libro è una costruzione dove micro e macro storia si intrecciano, in modo spesso mirabile, con l’irrazionalità dell’arte per produrre scintille in un viaggio che appassiona.
E naturalmente non può mancare l’analisi sull’influenza preponderante della chiesa cattolica contro riformatrice: «Nei paesi dell’Europa mediterranea, il Seicento barocco della Chiesa, diversamente dal Nord Europa, investe la cultura più profonda, quella dell’anima intesa come mondo psichico conflittuale, di eros e thanatos, luogo di contraddizioni, di visione del mondo, di elaborazioni faticose e sofferte, le cui ferite e aperture di salvezza, fisica e psichica, si giocano in un delicato processo di controllo sociale e spirituale che ha ad oggetto tanto la coscienza delle masse, che l’anima di un principe. E Carlo Gesualdo in particolare – pronipote di un papa, nipote di un santo e nipote del potente arcivescovo napoletano – è una terra di conquista, una preda spirituale ancora più agognata, quanto maggiore è il suo peso politico e simbolico nell’aristocrazia del Regno».
E se interessanti restano le pagine sui malefici, stregonerie, con l’assoluta umiliazione e subordinazione del mondo femminile, la ricca analisi sulla musica di questo artista lascia aperti spazi per ulteriori contaminazioni e apporti critici. Perché se è vero che questo volume ha lo spessore della «summa» dove sembra non ci sia più nient’altro da aggiungere, in realtà ridà l’avvio a una nuova, possibile stagione gesualdina in campo critico. Intanto, per dare un’idea della ricchezza critica, si legga questo parallelismo tra Gesualdo e Caravaggio che Annibale Cogliano mette in pagina così: «Se ossessione in Carlo c’è, è proprio nel tentativo di conferire all’arte sacra la funzione di eternizzare gli attimi unici e irripetibili del dolore e della morte della vita, propria della condizione umana. Allo stesso modo, Caravaggio, nel Golia dalla testa mozzata (ma è solo uno dei tanti esempi delle sue creazioni), fa il ritratto di se stesso, fuggiasco nello spasimo degli ultimi istanti della morte che lo sovrasta e lo insegue».