Era nell’aria da una settimana: tre giorni fa è stata ufficializzata la notizia dell’accordo, firmato la notte precedente, fra le sette rappresentanze sindacali e il Teatro dell’Opera di Roma. Una buona notizia per quanto attiene l’interruzione della procedura di licenziamento del coro e dell’orchestra, annunciato dal cda dell’opera capitolina in una drammatica conferenza stampa il 2 ottobre scorso. Si tratta di vedere poi come nel 2015 funzionerà l’applicazione dell’accordo per entrambi le parti, sia sul piano delle retribuzioni dei lavoratori che per la produttività e i conti del teatro. Al momento l’Opera in piena attività, si ultimano le prove per Rusalka di Dvorak con la regia di Denisk Krief, titolo che inaugura la stagione (il 27) sostituendo Aida, abbandonata da Muti in settembre. Il sovrintendente Carlo Fuortes incassa un risultato positivo: chi ha vinto in questo confronto? «Secondo me ha vinto il teatro: L’accordo siglato permette di risolvere l’urgenza dei problemi economici dell’Opera, ma anche di aprire una nuova strada, non solo per Roma. È stato condiviso da tutte le parti in causa, e profila la possibilità di un confronto con le forze sindacali non solo sul piano conflittuale».

Qualcuno potrebbe dire che è stato raggiuto con una pistola alla tempia.

Non era l’intenzione del consiglio di amministrazione, anche se ammetto che nei mesi precedenti, nelle discussioni sul piano della produttività per il raggiungimento dei requisiti della legge Bray non avevamo ottenuto molto. I licenziamenti erano stati decisi a malincuore ma era l’unica decisione unilaterale che potevamo prendere per non trovarci con un bilancio in forte perdita anche nel 2015. Io ero moderatamente ottimista, convinto che un accordo si poteva trovare, visto che la procedura di legge prevedeva la necessità di un tavolo vero, e di un confronto vero fra le parti. Il risultato raggiunto supera le mie aspettative: si sono eliminate alcune indennità non al passo coi tempi creando le condizioni per l’aumento della produttività.

Che clima si respira in teatro?

Quello del giorno dopo. Credo che tutti si siano resi conto che è successo qualcosa di importante. Adesso dobbiamo lavorare per riportare il teatro alla normalità; il risultato più importante che abbiamo davanti è il raggiungimento di una condizione di serenità nella produzione artistica.

Però un licenziamento c’è stato: un sindacalista.

Non c’è relazione alcuna con la situazione del confronto aperto, sarebbe potuto avvenire in qualsiasi altro momento. Non è una cosa piacevole ma talvolta capita nei luoghi di lavoro.

In queste settimane contro i lavoratori dell’opera e il teatro stesso sono state dette e scritte parole di fuoco: che reazione le hanno provocato?

Non mi ha fatto piacere. Il Teatro dell’Opera viene da un grande passato, anche nelle ultime stagioni abbiamo raggiunto degli alti livelli grazie alla presenza di Muti. Non partiamo da zero, ma – mi dispiace ripetermi – riportare l’attività del teatro alla normalità è adesso la nostra prima preoccupazione, e questo passa anche per un arresto della conflittualità sindacale come l’abbiamo vissuta nei mesi passati.

Non le ha fatto male leggere che Muti non voleva tornare a Roma? In Calabria i giornali hanno riportato una frase: «Con il Teatro dell’Opera non c’entro nulla».

Non penso che fosse quello il senso della frase. Ci siamo parlati, Muti resta il direttore onorario a vita e c’è da parte sua l’intenzione di collaborare in futuro.

Cosa cambierà il prossimo anno?

Nel 2015 ci attendiamo un aumento delle recite del balletto, dell’opera e delle rappresentazioni a Caracalla. Circa il 25% , crescita che è ancora possibile migliorare, per portarci l’anno dopo nella media, e anche oltre, dei teatri italiani più produttivi. Non è un risultato da poco. Va considerato che possiamo spingerci fino a un certo punto in questa direzione perché a differenza di altri teatri abbiamo un palcoscenico all’italiana, non moderno, che non permette la turnazione rapida di spettacoli. Il rischio altrimenti è compromettere la qualità.

L’Opera di Roma è un teatro diffuso nella città con tre teatri: l’ex Costanzi, il Nazionale e l’arena estiva di Caracalla. Un vantaggio o un problema ?

Caracalla è un enorme vantaggio. Ha un grande impatto in relazione all’opera come spettacolo popolare, un termine che va letto in senso positivo e con rispetto. A Caracalla in estate viene un pubblico che non frequenta il Costanzi, al quale, nonostante i problemi di questa estate, abbiamo offerto spettacoli di ottimo livello, come il Barbiere di Siviglia e la Bohéme, con una buona qualità di amplificazione che contiamo di perfezionare. Per carenze strutturali della sala maggiore, il Nazionale per ora è utilizzato come sala prove, e anche per spettacoli di portata più contenuta. La questione degli spazi di prove rimane un nodo da affrontare.

Non crede che un direttore musicale stabile, anche un giovane, sarebbe necessario al teatro?

È un passaggio da affrontare in futuro. Per arrivarci si deve tornare alla piena serenità della produzione artistica. Dal primo gennaio il nuovo consiglio di indirizzo potrà pronunciarsi anche su questo aspetto.

Cosa pensa, alla luce dell’esperienza maturata in questi ultimi anni fra Bari e Roma e anche negli ultimi mesi, della legge sulle fondazioni?

La legge è sicuramente perfettibile, ed è già stata ritoccata. Io credo che il problema serio della lirica in Italia non sia normativo: piuttosto, è un problema di management distratto o non all’altezza, di visione politica del settore poco chiara, ma anche di posizioni corporative sul versante sindacale. Lo strumento della Fondazione, e parlo per la mia esperienza a Musica per Roma, è adatto per amministrare un teatro lirico di queste dimensioni.

Non c’è un problema di spesa? Molti lamentano che i grandi teatri lirici divorano gran parte del Fus per la musica.

Non direi proprio che lo Stato spenda troppo, anzi, al contrario. Il problema è soprattutto come si spende e il monitoraggio che viene fatto sulla spesa, come sulla biglietteria e sui contributi privati.

A proposito, si potranno recuperare gli sponsor perduti?

Per ottenere questi risultati la reputazione del teatro deve essere alta. Nell’ultimo periodo siamo stati sulle pagine dei giornali per il buco di bilancio, gli scioperi: per invertire questa rotte ci vuole tempo.