Nessuno meglio del fondatore di Slow Food Carlìn Petrini sa collocare la manifestazione di Coldiretti nel contesto globale dell’agricoltura e della distribuzione di cibo. Nessuno più di lui sa che cosa vuole dire e quanto è importante la tutela dei contadini, dei territori e dei prodotti locali.
Cosa pensi di quello che è avvenuto ieri al Brennero?
I prodotti agricoli italiani vanno senz’altro tutelati, ma non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca. Bisogna decidere se il sistema Italia vuole puntare sulla quantità e vuole rincorrere una domanda soprattutto estera in continua crescita, oppure vuole puntare sulla qualità. Se vogliamo essere i più grandi produttori e distributori di prosciutto nel mondo è ovvio che c’è il rischio che si finisca per ricorrere anche a materia prima a basso costo e di dubbia qualità che proviene dall’estero per poi rivenderla indebitamente come made in Italy. A rimetterci sono i contadini e le produzioni locali che in questa gara a chi vende di più e fa prezzi più bassi non possono essere competitivi. In tutto il mondo, e a maggior ragione da noi, la dignità dei contadini, il rispetto dei territori e la qualità del cibo inevitabilmente impone di mettere in campo ampie deroghe alle leggi di mercato. Faccio solo l’esempio dei contadini messicani che custodiscono un territorio dove è nata la cultura del mais e del suo consumo e che invece devono importare il 3% del mais dagli Usa dove costa meno perché è transgenico e prodotto intensivamente. E’ una questione di tutela della produzione locale e di sovranità alimentare. Chi rimane fregato non è l’intermediario ma il coltivatore vittima di dumping a cui vengono imposti i prezzi di vendita.
Se questo è il quadro globale non c’è il rischio che il blocco dimostrativo di Coldiretti e la richiesta di norme stringenti per l’etichettatura si riducano ad una lotta contro i mulini a vento?
Si tratta di un grido di allarme giusto e necessario. L’etichettatura è sacrosanta. Per lo meno si deve sapere da dove viene la merce e come viene prodotta. La corretta informazione è l’unico modo che hanno per difendersi sia le popolazioni contadine che i consumatori cittadini, i quali sono i primi e più forti alleati dei produttori locali. Ma le etichetta non bastano. Mancano anche i controlli. E’ veramente significativo e paradossale che i contadini ieri abbiano dovuto fare quello che regolarmente e costantemente dovrebbe essere fatto dalle autorità.
Perché questo non avviene? Eppure a parole tutte le forze politiche si schierano accanto ai contadini italiani e ieri con loro c’era anche il ministro De Girolamo.
E’ troppo facile adesso dire che hanno ragione. Il ministro deve fare azioni concrete. Invece sia i governi italiani che si sono succeduti, sia l’Ue, hanno molte difficoltà ad attuare quello che dicono a parole o in disegni di legge quadro mai tradotti in decreti attuativi.
Perché non agiscono?
E’ semplice. Le lobby della produzione e della distribuzione agroalimentare non hanno interesse a promuovere la tracciabilità e a informare sull’origine delle materie prime.
Anche le imprese italiane del settore?
Le imprese italiane lo fanno a macchia di leopardo, alcuni virtuosi ne fanno una strategia di marketing, altri preferiscono nuotare in questo limbo di interessata ambiguità.
Nonostante tutto l’alimentazione di qualità è uno dei pochi mercati che in Italia non risente della crisi e c’è un ritorno dei giovani nelle campagne dove si registrano dati in controtendenza anche rispetto alla disoccupazione. E’ possibile agganciare la riprese a partire dai campi?
Tutti sono consapevoli che questo è un settore strategico per il nostro paese, ma dobbiamo deciderci. Il cibo ha perso valore da quando è diventato derrata da produrre in serie a prezzi bassi. Bisogna invece privilegiare il valore sui volumi, la qualità sulla quantità. Che mi importa se i francesi producono meno vino ma hanno più resa economica? La rincorsa alla produzione a tutti i costi produce sprechi, distrugge l’ambiente e non risolve il problema della malnutrizione. Genera una crisi antropica insostenibile per l’ambiente, i territori, le persone, le culture e anche per la finanza.
Il cibo è il tema dell’Expo 2015 di Milano, ai tempi del sindaco Moratti hai avuto qualche delusione a questo proposito, adesso Slow food come si pone rispetto a questo evento?
Proprio domani a Milano con il sindaco Pisapia e con il commissario Sala presenteremo la nostra collaborazione all’evento, ma lo facciamo per portare dentro Expo le nostre tematiche. Non si può vedere Expò solo come opportunità di sviluppo economico per Milano e per l’Italia. Che importa se vengono tanti visitatori se poi c’è la fame nel mondo.