Gente di tutte le età, una fila ordinata che si snoda da sotto i portici di via Filodrammatici a una delle entrate sulla facciata del Teatro alla Scala per l’ultimo saluto a Carla Fracci. La Scala, in cui l’étoile simbolo del balletto italiano è cresciuta, le ha reso l’onore di allestire nel suo foyer la camera ardente, aperta ieri mattina alla città alle 12. Un gesto riservato a pochissimi nella storia del teatro, e solo a grandi direttori d’orchestra, come Toscanini, De Sabata, Gavazzeni.

IL FERETRO è arrivato alle 11.30 accolto da un lungo e prolungato applauso della gente, alla presenza dei ballerini del Teatro, del sovrintendente Dominique Meyer, dal direttore del Corpo di ballo Manuel Legris, dal direttore musicale Riccardo Chailly, del sindaco Giuseppe Sala, di Roberto Bolle, Luciana Savignano con il marito, Anna Maria Prina. Dentro seduti intorno al feretro, Beppe Menegatti, il marito regista, un sodalizio lunghissimo, fatto di progetti, creazioni, viaggi, il figlio Francesco con la moglie Dina e i due nipoti, la sorella Marisa, la fedele collaboratrice Luisa Graziadei, Ferruccio Soleri, gli amici più stretti. Accompagnamento musicale, un minuto di silenzio.
Fracci ha chiuso così la sua lunga, magnifica, esistenza salutata nel suo teatro dalla sua città, come aveva desiderato. Da mezzogiorno ininterrottamente sono arrivati ragazzi, persone di mezz’età, anziani: una città con le sue differenze di vita, di portafoglio, di storie, gente venuta apposta da fuori, un mondo. Una fila che racconta un sentimento comune nelle diversità.
Due signore eleganti in nero, silenziose, una accanto all’altra, hanno tra le dita una lunga rosa bianca, una coppia avanza tenendosi per mano, più in là un gruppetto di ballerine adolescenti della Scuola di Ballo dell’Accademia Teatro alla Scala hanno gli occhi già un po’ lucidi, una signora arriva in carrozzina con in grembo un fiore, un uomo in bicicletta guarda la folla e a voce alta dice: «Sono in pantaloni corti, non mi sembra il caso di entrare così. Lei, mi scusi, entrerà? Sì? Allora la prego le porti i miei saluti».

L’IMPRESSIONE è una: è la città ad accorrere paziente, ora dopo ora, per rendere omaggio a un’artista, a una donna che Milano tutta sente con orgoglio e tanto affetto sua. Che la si sia vista ballare in teatro, recitare in tv la parte di Giuseppina Strepponi nello sceneggiato Verdi, incontrare il suo pubblico, Fracci vive nel cuore della gente.
Incontriamo Bruno Vescovo, primo ballerino scaligero entrato a far parte del Corpo di Ballo del Teatro alla fine degli anni Sessanta. «È difficile parlare oggi. Cinquant’anni di vita, che ricordi al Metropolitan di New York, Carla con Nureyev, un successo incredibile, che emozione. Spero che i ragazzi, i nostri giovani ballerini, che hanno lavorato qualche mese fa con Carla alla Scala per Giselle facciano tesoro dei suoi insegnamenti».
Dentro al foyer si entra uno alla volta, il feretro è al centro, ricoperto di fiori bianchi, tante rose, anche mazzi deposti a terra. I cordoni del teatro chiudono delicatamente lo spazio più intimo riservato alla famiglia. Le persone si fermano, restano in silenzio, la salutano con gli occhi.

IERI MATTINA anche i tranvieri di Milano hanno reso il loro omaggio alla Carlina, figlia del collega Luigi, suonando la campanella e schierandosi con una piccola delegazione di fronte al teatro. «Avevo imparato l’orario in cui mio padre passava con il suo 18 davanti alla Scala» ricordava spesso l’artista quando raccontava i suoi inizi, bambina alla Scuola di Ballo del Teatro, «e, quando glielo dissi, lui cominciò a pestare la campanella cinque volte per informarmi che tutto andava bene».
Così ieri per tutto il giorno ogni volta che un tram è passato davanti alla Scala si è udito lo scampanellio, un altro gesto che racconta l’amore di una città, che vuole accompagnare la sua artista dicendole ancora una volta «tutto va bene».
Le esequie si terranno oggi, alle 14.45, nella Basilica di San Marco.