Ancora oggi il nome di Carl Einstein fatica ad affermarsi nell’Olimpo degli intellettuali di lingua tedesca. Eppure, la sua opera poliedrica, che si muove tra filosofia, critica d’arte e letteratura, rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per molti giganti della cultura del Novecento. Amico di Braque e di Picasso, legato a Joyce e Beckett, in dialogo con Ernst Bloch, fonte di ispirazione per Hugo Ball e per Gottfried Benn, Carl Einstein è senza dubbio uno degli autori più originali e innovativi dell’espressionismo.

LA SUA È STATA UNA VITA molto accidentata: nato nel 1885 a Neuwied, in Renania, da una famiglia ebraica, trasferitosi ben presto a Berlino, dove si è formato, ha trascorso gran parte della sua esistenza in esilio, tra la Germania, il Belgio, la Francia, Spagna. Ha partecipato attivamente alla vita politica, sia fiancheggiando i moti spartachisti in Germania, sia con l’adesione al movimento anarchico della colonna Durruti in Spagna, fino alla tragica decisione di mettere fine alla sua vita, in Francia nel luglio del 1940, per non cadere in mano alle truppe naziste.

In Italia, e forse ovunque, è conosciuto per un unico importante studio dedicato alla Negerplastik, edito da Abscondita. Ma Einstein è, tra le altre cose, anche autore di un notevole romanzo dal titolo Bebuquin o I dilettanti del miracolo, pubblicato integralmente nel 1912, e apparso recentemente per la casa editrice Giometti & Antonello di Macerata (pp. 110, euro 17), nella traduzione di Teresina Zemella e con un’introduzione di Giusi Zanasi. Bebuquin risponde al nome del protagonista, un giovane letterato ritratto in una fase di vertigine esistenziale, che incontra, nelle varie tappe della sua esperienza urbana, diverse figure funamboliche, sempre sospese tra la vita e la morte.

IL SUO CAMMINO è, evidentemente, un percorso filosofico di ricerca del senso, un allenamento volto a cogliere il miracolo in grado di trasfigurare o di redimere lo stato delle cose: «si deve osservare l’impossibile così a lungo che finisce per apparirci una facile occasione». Il romanzo Bebuquin può essere considerato come uno dei più riusciti esperimenti letterari del primo Novecento, in pieno stile espressionista ed esempio di «opera nevrotica». Un’opera certo eccentrica, scomoda, scritta «contro il lettore e contro la letteratura comune», ma che proprio in questa sua radicalità cela la cifra dell’assolutezza, come, già negli anni Cinquanta, aveva capito Benn.