Non è (ancora) una scissione ma non è neppure una semplice associazione culturale, e infatti Antonio Martino, ex ministro e tra i fondatori di Forza Italia, medita di tirarsene fuori: «Io pensavo a un’associazione liberale non a una fazione. Potrei mollare». Martino dovrebbe essere presidente onorario di Voce libera, l’area che Mara Carfagna battezzerà oggi a Roma.

L’incarico, rivela Silvio Berlusconi, era stato offerto prima di tutti proprio a lui, che ha rifiutato: «In un partito aperto al dialogo è inutile far nascere associazioni che poi magari diventano correnti e finiscono per dividere». È una scomunica, pur se garbata nei toni.

Voce libera, in effetti, è già una corrente. Ancora interna a Fi, certo, ma caratterizzata da un «antisovranismo» poco conciliabile con l’alleato Salvini. La leader si aspetta oggi, nella conferenza stampa inaugurale, una platea tale da dimostrare che la sua «associazione» può andare oltre i confini del dissenso forzista e con l’ingresso di Carlo Cottarelli nel comitato scientifico ha senza dubbio messo a segno un bel colpo. Ma il nucleo dell’operazione restano i parlamentari: poco sotto la trentina secondo voci interne, tra cui una decina di presenze nella postazione nevralgica del Senato, dove il punto di riferimento è l’ex direttore del Qn Andrea Cangini, mentre alla Camera è l’ex governatrice del Lazio Renata Polverini. La vicepresidente della Camera e leader dell’area assicura che non si tratta di un passo verso l’Italia Viva di Renzi e che non ci sarà un cambio di posizioni nei confronti del governo. Sfiducia era e rimarrà.

La strategia dei «maratei» non passa per un cambio di casacca, comunque non fino a che resterà in carica questo governo. I parlamentari però sarebbero disposti, sui singoli provvedimenti a rischio, a correre in aiuto per evitare la crisi, controbilanciando così le spinte centrifughe presenti tra i 5S. Il dialogo con Renzi, anche se nessuna delle «voci libere» lo ammetterebbe apertamente, è nell’ordine delle cose, ma si tratta di un percorso che potrà svilupparsi solo quando l’asse tra Arcore e il leader «sovranista» sarà definitivamente saldato e quando il governo Conte e la sua maggioranza saranno usciti di scena. Solo a quel punto l’ala forzista che di fatto diventerà da oggi quasi autonoma potrà prendere in considerazione l’appoggio a un eventuale nuovo governo senza ritrovarsi nei panni scomodissimi di Alfano o Verdini nella scorsa legislatura.

Il passo, sia pur ben calibrato, verso la maggioranza degli azzurri antisovranisti dovrebbe secondo le voci in circolazione al Senato essere controbilanciato dalla possibile uscita di alcuni senatori 5S, capitanati dal dissidente per eccellenza Gianluigi Paragone. Lui smentisce, il leghista Centinaio conferma che qualche pentastellato che bussa alle porte del Carroccio c’è. «Io fondare un nuovo movimento? È illogico», replica alle accuse di scissionismo il giornalista. Ma aggiunge che «il popolo che credeva nel M5S si è stufato» e se la prende con i vertici che processano lui per il voto in dissenso sul Mes mentre «non è stato aperto nessun procedimento contro quelli che hanno votato contro il taglio dei parlamentari». Anche il distacco dell’ala filoleghista, insomma, sembra questione di tempo e di opportunità.

Discorso diverso per la trentina di deputati 5S che, con Trizzino come capofila, si preparerebbero a formare in gennaio una loro «corrente» per sostenere maggiormente Conte, È dissenso anche quello, segnatamente contro la leadership di Di Maio, ma l’obiettivo non sarebbe levare le tende quanto spingere l’intero M5S verso l’alleanza strategica con il Pd. Nelle prossime settimane, dunque, la geografia parlamentare cambierà, ma se a favore o a svantaggio del governo lo si vedrà quando i singoli senatori faranno le loro scelte.