Durante il Conclave, prima di essere eletto nuovo papa, il cardinale Jorge Mario Bergoglio ha consegnato al cardinale cubano Jaime Ortega un appunto manoscritto nel quale, in quattro punti, delineava le priorità che deve affrontare oggi la Chiesa cattolica. L’arcivescovo dell’Avana, con l’autorizzazione papale, ha reso pubblico questo manoscritto (su Palabra Nueva, mensile dell’arcidiocesi dell’Avana) nel quale Francesco I afferma che l’evangelizzazione «è la ragione d’essere della Chiesa cattolica», la quale è chiamata a «uscire da se stessa», ovvero a abbandonale una propria «autoreferenzialità» per «andare verso la periferia». Non solo in senso geografico, ma anche sociale. «Solo uscendo da sé», afferma il manoscritto, vi è per la Chiesa la possibilità di attuare «cambiamenti e riforme che debbono essere fatti per salvezza delle anime».

Sono, queste, tesi che alimentano il grande interesse e le altrettanto grandi aspettative che il subcontinente coltiva nei confronti del primo pontefice latinoamericano. Soprattutto perché confermano le aspettative di chi si augura che la Chiesa possa essere artefice di un nuovo protagonismo nella dimensione sociopolitica in atto in America latina, nel subcontinente cioè che pare beneficiare di una situazione economica più positiva di quella dell’Europa e degli stessi Stati uniti. Molti analisti pensano proprio che in America latina, dove oggi come oggi risiede la maggioranza dei cattolici, può giocarsi il futuro della Chiesa cattolica. Il fatto che papa Francesco si caratterizzi per la sua attitudine al dialogo, sia nel campo religioso sia in quello politico, lascia aperta la possibilità che la Chiesa si apra a una nuova dottrina sociale, come pure che avanzi nella via dell’ecumenismo, con azioni concrete nei confronti delle altre Chiese e religioni presenti in America latina (dove il panorama religioso è assai plurale).

Saprà e vorrà il nuovo papa seguire questa via e rivedere e modificare la dottrina sociale della Chiesa cattolica (alcuni analisti parlano di un nuovo Concilio)? Forse un’indicazione delle scelte di Francesco I verrà dal prossimo e attesissimo viaggio in Brasile, in occasione della giornata della gioventù. Il Brasile è infatti il paese che nel mondo ospita più cattolici, ma non solo, è anche il paese che da anni vede un impetuoso sviluppo di chiese pentecostali e sette varie (fatto che è conseguenza e testimonianza dell’estremo indebolimento della Teologia della liberazione).

In questo panorama, Cuba non fa eccezione. In coincidenza con l’elezione del papa abbiamo iniziato alla facoltà di Storia e filosofia dell’Università dell’Avana un ciclo di lezioni per il dottorato sull’origine, sviluppo e attività del papato; lezioni frequentate da un numero insolito di studenti e soprattutto che stanno destando grande interesse e partecipazione. Cuba sta attraversando un delicatissimo periodo di transizione, ufficialmente definito «modernizzazione del modello socialista cubano». L’obiettivo è di ridurre l’eccessivo peso dello stato –e del partito che con esso si identifica- che rischia di strangolare l’economia e aprire a nuove forme di proprietà sociale – privata e cooperativa- che possano rilanciare la produzione. Inoltre è necessario creare le condizioni per favorire investimenti esteri, senza i quali tale rilancio è destinato a fallire, e ad aprire un dialogo con la diaspora cubana (specie in Florida) che potrebbe essere il motore di tali investimenti. Molti giovani, poi, non sono soddisfatti della società che hanno ereditato, di un socialismo molto burocratizzato e livellatore: vogliono una nuova società che, pur mantenendo le conquiste sociali e nazionali, permetta loro di manifestare le proprie idee e opzioni personali e rifiutano le norme uniche ideologiche e sociali.

In questo periodo di transizione, retto (come vuole la Costituzione) da un partito unico, il partito comunista, la Chiesa sta riempiendo un vuoto, con le sue pubblicazioni, corsi di management, scuole e centri culturali e attività sociali dà spazio a una politica di confronto con il governo. Si tratta di un’attività che per alcuni versi è sostitutiva di un movimento politico (per non dire partito) non comunista anche se non conflittuale con esso (come dimostra la partecipazione di elementi critici dello stesso pc). Fu proprio con la collaborazione della Chiesa –del cardinale Ortega in primis- che il governo cubano guidato da Raul Castro decise due anni fa la liberazione di un centinaio di prigionieri politici e di coscienza (la maggior parte dei quali emigrò dal Paese).

Tale «collaborazione» ha contribuito alleggerire le tensioni con l’opposizione, anche se continuano, e in alcuni periodi sono anche aumentati, i fermi di oppositori. Il 26 marzo, nella sua edizione spagnola, la Radio vaticana ha diffuso un passo dell’omelia che papa Benedetto XVI pronunciò nella Messa celebrata nella Piazza della Rivoluzione dell’Avana nella sua visita dell’anno scorso. In essa l’allora pontefice incitava la Chiesa cubana a avanzare su questa via -«al servizio del bene comune di tutta la società cubana»- e chiedeva al governo di rafforzare tale cooperazione. L’interesse che il governo cubano ha dimostrato verso il nuovo papa è stato per ora abbastanza formale: si è sottolineato come si siano rafforzate le relazioni col Vaticano, ma si ha l’impressione che il governo attenda le prime prese di posizione di papa Francesco I.

Ai cubani non fa certo difetto la capacità di scherzare su tutti i temi: in occasione dell’elezione del nuovo papa si è verificato nell’isola un abbondante raccolto di patate, genere alimentare che da mesi mancava dalle tavole dei cubani. I quali hanno potuto così esclamare «habemus papa», ove in spagnolo papa è patata. Un umorismo gioioso che non dovrebbe dispiacere a Francesco I.