Ha spiazzato perfino il ministro di Giustizia Andrea Orlano, il muro di sbarramento che la Commissione speciale ha opposto al primo decreto attuativo della riforma dell’ordinamento penitenziario, giunto alle ultime battute prima dell’approvazione finale da parte del governo.

Ieri Orlando ha telefonato ai presidenti di Camera e Senato, Fico e Casellati, per chiedere loro di «riconsiderare» la decisione presa dalla Capigruppo di escludere il decreto legislativo dall’agenda della Commissione speciale appena insediatasi alla Camera in attesa che si formino le commissioni di merito. «La mancata attuazione della riforma rischierebbe di pregiudicare, infatti – spiega nella lettera il Guardasigilli – gli importanti passi compiuti, che hanno determinato la chiusura del monitoraggio al quale il nostro Paese era stato sottoposto a seguito della condanna della Corte Europea dei Diritti dell’uomo del gennaio 2013».

Per l’ok finale al primo dei quattro decreti che compongono la riforma messa a punto da oltre 200 esperti in più di due anni di lavoro, mancava solo il secondo parere delle commissioni parlamentari, che hanno dieci giorni di tempo per emetterlo.

Il parere non è vincolante per il governo che può decidere di procedere comunque al via libera definitivo, ma il testo del decreto deve essere comunque inviato alle commissioni. E il problema è che quel testo approvato il 16 marzo scorso in Cdm non è mai stato inviato al Parlamento perché, spiegano a Palazzo Chigi, si stava appunto attendendo la costituzione della Commissione speciale.

Ora la porta sbarrata impedisce di proseguire in quella riforma che da più parti – dal Partito radicale al Consiglio nazionale forense – ma non dalle parti del M5S, della Lega e della maggioranza del centrodestra, viene considerato non più rinviabile.