Il carcere al tempo del coronavirus. È il titolo del sedicesimo rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione presentato ieri e disponibile sul sito dell’associazione. Si parte come sempre dai numeri: a fine febbraio i detenuti in Italia erano 61.230 a fronte di una capienza regolamentare di 50.931 posti. Il tasso di sovraffollamento era del 130,4%. Dopo due mesi e mezzo, il periodo di maggiore impatto della pandemia, al 15 maggio scorso in carcere risultavano 52.679 persone. Il tasso di affollamento resta quindi sopra al cento per cento, fermandosi al 112,2%. A dispetto di tante polemiche sui presunti provvedimenti «svuotacarcere».

Il sovraffollamento non è omogeneo, ci sono carceri assai sopra la media anche in regioni ad alto rischio Covid: 161,4% il tasso di Como, 156,8% quello di Pordenone. Mentre 25 delle 98 carceri visitate da Antigone non rispettavano il criterio minimo di 3 mq di spazio per ogni detenuto. A Poggioreale, Pozzuoli e Bolzano sono state trovate celle con 12 persone. Altri dati confermano che un terzo dei detenuti in Italia è in carcere per aver violato la legge sulle droghe. Falso lo stereotipo delle porte girevoli: in Italia le pene sono assai più alte rispetto alla media europea. Così come la percentuale di detenuti in attesa di giudizio.

Quanto all’impatto del coronavirus sul carcere, i primi casi si sono registrati a metà marzo e adesso si contano 119 contagiati tra i detenuti e 162 tra il personale. Al termine del rapporto, Antigone avanza dieci proposte. Tra le qual: ridurre il numero dei reati punibili, superare una visione carcerocentrica della pena, cambiare la legge sulle droghe, consentire i collegamenti a distanza detenuti-famiglie, assumere 300 direttori di carcere.