In questo momento nelle carceri italiane vi sono circa quattordici mila persone in più rispetto alla capienza regolamentare effettiva.

Il sovraffollamento nella vita quotidiana significa condividere dodici metri quadri in quattro persone, dormire praticamente con la faccia spalmata sulla soffitta della cella, essere visitato dal medico raramente, non avere lo spazio per leggere tranquillamente seduti su uno sgabello, non avere privacy neanche quando si va in bagno.

Da qualche settimana, oltre a tutto questo, il sovraffollamento significa anche avere il timore delcontagio.

Per questo nei giorni scorsi, insieme a Cgil, Anpi, Arci, Gruppo Abele, e con l’adesione della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia e di Ristretti, abbiamo richiesto l’adozione di misure dirette a decongestionare le carceri, a partire da chi versa in condizioni di salute peggiori o di chi sta scontando gli ultimi scampoli di pena. Misure che avevamo proposto anche a tutela della salute dello stesso staff carcerario.

Ieri è arrivato il primo decreto del governo per affrontare l’emergenza carceraria. Esso contiene norme che cambiano le regole di accesso alla detenzione domiciliare; secondo le previsioni di chi ha proposto il provvedimento dovrebbero nelle prossime settimane uscire due-tre mila persone, sempre che la magistratura di sorveglianza interpreti le norme in modo estensivo. Se fosse così non possono che essere considerate un piccolo primo passo, eccessivamente cauto, verso il ritorno alla legalità. Ben altro ci servirebbe.

Si tratta dunque di una norma dall’impatto incerto che si spera, ma come detto non è dimostrato con quale capacità, vada in una direzione di deflazione numerica.

Bisogna riportare il sistema carcerario italiano in condizioni di legalità. Solo le condizioni di legalità ripristinate saranno a loro volta utili a poter gestire l’emergenza coronavirus dentro gli istituti penitenziari.

È necessario liberare varie migliaia di posti letto allo scopo di avere celle singole a disposizione per gli eventuali detenuti che risultano positivi al virus. È altresì urgente mandare a casa o in luoghi di cura, persone che presentano una particolare vulnerabilità per l’età o le patologie pregresse, in quanto qualora contraessero il virus dentro sarebbe drammatico, anche in termini di aiuto medico.

Era il 2013 quando l’Italia fu condannata dalla Corte europea dei diritti umani per violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea a causa del sovraffollamento che rendeva degradanti le condizioni di vita interne. A seguire furono assunte alcune misure legislative per rispondere ai contenuti di una sentenza per certi versi umiliante per il nostro Paese. Siamo al 2020 e ci ritroviamo nuovamente a dover fronteggiare un’emergenza dettata da una bulimia punitiva insopportabile.

Non troppo tempo fa c’era chi nel governo chiedeva più carcere per i piccoli spacciatori in quanto bisognava gratificare i poliziotti che li avevano arrestati e qualche mese prima c’era un Ministro che augurava ai detenuti di marcire in galera.

Ma la grande emergenza coronavirus, anche nelle carceri, non si può ritenere chiusa e risolta con le misure decise ieri. Ci vuole molto ma molto di più, sia in termini di ulteriori vie di uscita dal carcere sia in termini di qualità socio-sanitaria della vita interna.