Detenzione domiciliare, «su istanza», per i detenuti che abbiano da scontare pene residue inferiori ai 18 mesi, che non abbiano commesso reati di mafia, che non siano «delinquenti abituali, professionali o di tendenza», che non siano sottoposti a sorveglianza speciale e non abbiano procedimenti disciplinari pendenti (di qualunque peso e gravità); braccialetti elettronici, «ove disponibili» (ma non sono disponibili), per controllare ai domiciliari i condannati maggiorenni «la cui pena da eseguire non sia superiore ai sei mesi».

Licenze per i detenuti già in semilibertà, da concedere fino al 30 giugno. Sono le uniche misure contenute nel decreto legge «Cura Italia» che affrontano l’emergenza Coronavirus nelle carceri.

Il testo, così come lo ha voluto e difeso il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede, si aggiunge alla legge 199/2010, quella dell’allora Guardasigilli Alfano bollata come «svuota carceri»; le disposizioni saranno applicate da oggi fino al 30 giugno 2020.

Nei tre articoli, stralciati e discussi fino a ieri sera, il governo giallorosso ha previsto anche uno stanziamento di 20 milioni di euro per la realizzazione di interventi urgenti di ristrutturazione delle strutture danneggiate dalle rivolte dei giorni scorsi, e altri fondi per gli straordinari della polizia penitenziaria.

Ci sono poi una serie di misure che riguardano la giustizia più in generale: la proroga fino al 15 aprile (nel precedente Dpcm era fino al 22 marzo) del rinvio delle udienze e della sospensione dei termini di durata massima delle misure cautelari e della prescrizione, nei procedimenti civili e penali su tutto il territorio nazionale; le notificazioni e le comunicazioni penali solo per via telematica; l’estensione alla magistratura onoraria delle misure simili a quelle introdotte per i lavoratori autonomi, attraverso un contributo economico pari a 600 euro mensili per un massimo di tre mesi, calcolato sulla base dell’effettivo periodo di sospensione dell’attività. Il ministro Bonafede precisa poi in una nota che, contrariamente a quanto stabilito dal Dap nella circolare di due giorni fa, i «poliziotti penitenziari venuti a contatto con contagiati, o sospetti tali, saranno esonerati dai servizi in sezione a contatto con detenuti e dalle traduzioni».

La magistratura di sorveglianza aveva pressato ieri il governo per ottenere «misure serie e celeri di prevenzione e di contenimento della diffusione virale» nelle carceri «nella consapevolezza della maggiore velocità del contagio negli universi concentrazionari, della mancanza strutturale degli spazi necessari all’isolamento sanitario e alla cura ospedaliera delle persone contagiate e dei rischi di rebound del contagio penitenziario sull’intero sistema nazionale e sulla salute collettiva dei cittadini».

Ma le norme varate non sembrano sufficienti al Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, che dopo aver a lungo «interloquito» con il ministro per convincerlo ad intervenire sulla «detenzione domiciliare speciale, sulla liberazione anticipata e sulla conversione in domiciliare del rientro serale in Istituto nei casi di semilibertà», le ha accolte come «un primo passo limitato».

«Norme manifesto, non cambia niente – attacca Cosimo Ferri (Iv) della commissione Giustizia – Ci vuole coraggio e visione per gestire un’emergenza sanitaria anche nel settore Giustizia ed ancora di più nel settore penitenziario». E per la radicale Rita Bernardini, che chiede «amnistia per la Repubblica», l’alleggerimento del sovraffollamento con la fuoriuscita «al massimo di 3-4 mila detenuti» è «un modesto passo in avanti che non basta».