Qualsiasi cosa voglia dire questo recupero del vocabolario della Francia rivoluzionaria, sembra impegnativo il proposito del ministro Andrea Orlando di mettere in cantiere gli «Stati generali dell’esecuzione penale». Un progetto che debutta oggi nel carcere milanese di Bollate (forse, ahinoi, l’unico istituto «riformato» dell’intero territorio nazionale).

Grazie alla costante sollecitazione del presidente Giorgio Napolitano e all’importante impegno dell’attuale ministro e del suo predecessore Annamaria Cancellieri, dei Radicali e dell’associazionismo, l’Italia è uscita – seppure non definitivamente – dal cono d’ombra della condanna europea per il sovraffollamento sistematico delle nostre prigioni.

I 54mila detenuti di oggi non sono pochi, ma non sono i 68mila di qualche anno fa, e in carcere gli spazi e le risorse cominciano a essere meno drammaticamente sproporzionate alle necessità della popolazione detenuta, di quanto fossero fino a ieri.

Purtroppo, però, le buone notizie si fermano qui. Nelle smagliature della rete territoriale di accoglienza, grande incertezza aleggia ancora intorno alla sorte dei ricoverati negli ex-ospedali psichiatrici giudiziari e intorno al destino dei futuri internati. Intanto, interrottasi la pressione dell’Europa, si è arrestata la diminuzione della popolazione detenuta.

Ne discendono due temi assai rilevanti per gli Stati generali: con gli ospedali psichiatrici giudiziari in via di smantellamento, non sarà il caso di rivedere complessivamente i criteri di responsabilità penale e le misure di sicurezza, prima che le nuove Residenze regionali si trasformino in piccoli luoghi di più «decoroso» degrado umano?

E, una volta ridotta la popolazione detenuta attraverso il contenimento della custodia cautelare, non si dovrebbero adottare misure straordinarie di riduzione delle pene in esecuzione? Di conseguenza, non è forse il momento di intervenire sulle politiche di criminalizzazione della marginalità sociale? Sono proprio quest’ultime, infatti, che hanno causato in passato l’esplosione del sistema penitenziario e ridotto drasticamente il ricorso ordinario alle misure alternative come modalità di esecuzione delle pene.

Siamo certi che non mancheranno contributi in questa direzione, tra i molti che sono stati sollecitati nell’ambito degli Stati generali; e siamo certi che il ministro Orlando vorrà prenderli in seria considerazione per migliorare e affinare la sua proposta di riforma del sistema penale e penitenziario già all’esame delle Camere.

Ma le grandi riforme camminano su piccoli passi, e allora ci permettiamo di proporre all’ordine del giorno degli Stati generali e della quotidiana azione del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria due piccole cose, risolvibili anche a legislazione vigente, che darebbero il segno di quel cambiamento di mentalità non più differibile.

A dispetto di due successive leggi dello stato, sono ancora decine i bambini ristretti in carcere con le loro madri. L’individuazione delle case-famiglia esterne al circuito penitenziario e delle altre modalità cautelari o esecutive della pena fuori dalle ordinarie sezioni detentive continua a rilento, come se la limitatezza dei numeri giustificasse quelle detenzioni ingiustificabili e innaturali.

D’altro canto, nonostante due autorevoli pronunciamenti della Corte di cassazione, non abbiamo più notizie dei detenuti condannati in via definitiva per fatti di droghe che avrebbero potuto beneficiare della riduzione di pena conseguente all’abolizione della legge Fini-Giovanardi.

Un anno fa il ministro Orlando, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, diceva che poteva trattarsi di circa tremila persone. Che fine hanno fatto? Sono stati tutti scarcerati per fine pena? Ne hanno ottenuto la riduzione o alcuni sono ancora in esecuzione di condanne dichiarate illegittime? Anche qui, sappiamo perfettamente che a più di un anno dalla decisione della Corte costituzionale i numeri possono essersi di molto ridotti, ma se anche fossero mille, cento, dieci o uno solo, è moralmente accettabile la detenzione di una persona sulla base di una sentenza illegittima?
Ecco, se gli Stati generali dell’esecuzione penale, insieme a molti buoni propositi e a progetti realizzabili in tempi non biblici, mettessero all’ordine del giorno questi due provvedimenti e li approvassero e applicassero entro termini accettabili (sei mesi sono sufficienti, se c’è la buona volontà), queste assise della giustizia penale, saranno state proficue.