Con la prima europea di Carbon Song Cycle, performance dai corrosivi temi ambientali di Pamela Z, Francesca Pennini e Pmce (Parco della Musica Contemporanea Ensemble) e il debutto italiano di Triple di Richard Siegal, acuto stravolgitore dei cliché sull’interprete ideale, si è chiusa all’Auditorium Parco della Musica di Roma la sedicesima edizione del Festival Equilibrio nella nuova direzione di Emanuele Masi. Una bella rinascita di segno seguita da più di 5000 spettatori dopo due stagioni di assenza dai calendari italiani.
Carbon Song Cycle deriva da un’opera multimediale del 2012, la cui composizione musicale di Pamela Z è stata riallestita per Equilibrio in una nuova forma performativa ideata in tandem con la danzatrice e coreografa italiana Francesca Pennini. Prodotta dalla Fondazione Musica per Roma in collaborazione con l’American Academy in Rome, la performance riflette sul nostro tempo: la voce di Pamela Z, elaborata elettronicamente dal vivo, è un richiamo alla natura in pericolo, un canto siderale eppure drammaticamente terreno che a partire da uno studio scientifico sul ciclo del carbonio ci mette in contatto con ciò che di giorno in giorno stiamo perdendo.

LA SCENA è curiosa: due ciclisti, uno di fronte all’altro, producono energia pedalando, al centro Francesca Pennini condensa in una corporea visione ciò che il canto suscita, il respirare, la produzione di luce, gli alberi, gli animali, il concetto e i risvolti dell’Antropocene. Dietro a lei, in semicerchio, i musicisti del Pmce diretti da Tonino Battista. Una produzione accolta con calore, agli applausi sullo sfondo la scritta Live Sustainable Stop War tragicamente connessa alla guerra in Ucraina.

Coregorafia da Carbon Song Cycle di Pamela Z, Pmce e Francesca Pennini, foto Fondazione Musica per Roma, Musacchio/Ianniello/Pasqualini

La chiusura di Equilibrio ha visto poi protagonista Richard Siegal, coreografo americano fondatore e direttore del BOD Ballet of Difference, compagnia residente allo Schauspiel Köln (Colonia), mai stato prima d’ora a Roma. Autore tra i più curiosi del nostro tempo – non a caso ha di recente firmato per il Tanztheater Wuppertal di Pina Bausch Ectopia con installazione Shooting into the Corner di Anish Kapoor – Siegal con il Ballet of Difference esplora la potenzialità di ogni tipo di diversità culturale, sociale, identitaria degli interpreti. Con lui la tecnica classico-accademica approda a un virtuosismo contemporaneo in cui anche la fluidità di genere, come ogni altro tipo di diversità, è elemento di forza. Tre i pezzi in scena all’Auditorium. All for One (aka SPIRAL) saetta in una struttura luminescente e trasformista in cui i danzatori sono mutati da imprevedibili costumi. Restano impresse la sensualità capricciosa di Mason Manning e l’efebica, magistrale eleganza adolescenziale del giovanissimo Ian J. Sanford, uscito dalla Juillard School di New York. Lui e il cinese Long Zou danzano anche con le punte, come in Metric Dozen, musica di Lorenzo Bianchi Heosch, luce ad occhio di bue dove entrare o esserne fuori, tradizionali passi maschili e femminili shakerati all’infinito, apertura e chiusura con Manning strepitosa.

TRA LE DANZATRICI svetta la brasiliana Livia Gil, nell’insieme un collettivo che esprime danzando la sua ragion d’essere. Chiude il titolo manifesto del Bod, My Generation, visto anni fa a BolzanoDanza, variato sull’appeal dei nuovi interpreti. Una bella scelta del festival, anticipata dalla proiezione del film documentario Draw a line – Richard Siegal and the Ballet of Difference di Benedict Mirow (2019). Già annunciati tre nomi chiave dell’edizione 2023 di Equilibrio: Olivier Dubois, Marlene Monteiro Freitas, Angelin Preljocaj. Al prossimo febbraio.