«Pronto, hai saputo del Caravaggio di Madrid?», «Beh certo, è mio!». Ho sentito anche questa nei giorni scorsi, quando non si è fatto altro che parlare dell’Ecce Homo apparso in Spagna. È incredibile come certi temi siano divenuti argomenti da bar: prima c’era la finale di Champions, l’elezione del Presidente della Repubblica, la morte di una regina, ora si parla della scoperta di un Caravaggio. Per conto mio è un fatto positivo e divertente allo stesso tempo: ma come abbiamo fatto ad arrivare fin qui? Come è possibile che il mio barbiere si dica convinto dell’attribuzione e la mia panettiera ne sia assolutamente contraria? Innanzitutto l’argomento è diventato molto popolare, lo si intuisce dai numeri che fanno le mostre sul tema (l’ultima dedicata al Merisi in Palazzo Reale a Milano ha superato i 400.000 visitatori), dal numero di libri che si pubblicano sull’argomento, dal numero di docu-film che sono usciti negli ultimi anni. Quindi Caravaggio è diventato uno di noi, perciò ci permettiamo di esprimere il nostro parere riguardo a un suo dipinto, appena scoperto. In passato sarebbe stato impensabile. Lo storico dell’arte che formulava un’attribuzione era paragonabile a un luminare di cardiologia che operava a cuore aperto. L’argomento è valido ancora oggi solo per il Maestro di Stratonice o quello dei paesaggi Kress, ovvero per pittori che non conosce nessuno, non per Caravaggio. A pensarci bene la stessa cosa è avvenuta col Salvator Mundi di Leonardo. Anche in quel caso tutti, ma proprio tutti, si sono sentiti in dovere di esprimere il loro giudizio sull’opera. Da: «è un capolavoro»; a: «impossibile, non può averlo dipinto lui».
Ma veniamo ai fatti. La casa d’aste madrilena Ansorena ha ricevuto da una famiglia spagnola un quadro con un soggetto noioso e poco apprezzato (oggigiorno i temi religiosi sono caduti in disgrazia, a meno che l’autore non sia un nome noto). Quindi l’ha stimato 1500 euro schedandolo come cerchia di Jusepe de Ribera, un pittore del Seicento spagnolo di formazione caravaggesca. Questi primi due dati ci dicono che né i proprietari né la casa d’aste avevano la minima idea di cosa stringessero tra le mani. Tutti i lotti che erano previsti nell’incanto programmato per l’8 aprile scorso sono stati caricati sul sito internet di Ansorena ed erano visibili con un paio di settimane di anticipo. Chi fa il mestiere dell’antiquario draga sistematicamente tutte le aste del mondo e nella rete, quotidianamente, pesca qualcosa. Come sanno i pescatori ogni pesce ha la sua lenza. Fatto sta che nel caso dell’Ecce Homo l’ambito era la pesca d’altura, la più impegnativa.
Cosa sia esattamente successo nei giorni che hanno preceduto l’asta è stato parzialmente ricostruito dai quotidiani di mezzo mondo, fatto sta che forse non tutto è stato detto. Solo la casa d’aste potrebbe mettere pazientemente in fila tutti i tasselli e raccontare la vicenda nella sua precisa articolazione. Nessuno però ci impedisce di fare qualche ipotesi. L’Ecce Homo è entrato nei radar di molti antiquari, questo è certo. Ora la categoria è, a tratti, meravigliosa, perché è fatta di personaggi che possono vestire i panni di Magellano, Napoleone Bonaparte o Totò, a seconda del contesto. Sono tendenzialmente soggetti che non amano gli sport di gruppo, quindi procedono in solitaria, a meno che non sia strettamente necessario (ovvero hanno una pistola puntata alla tempia). Fatto sta che quando il Marlin (un pesce grosso e combattivo) ha abboccato non tutti avevano la canna adeguata. Per la pesca in mare aperto servono molti soldi ma soprattutto l’attrezzatura giusta. Avanzando sempre per ipotesi non è escluso che qualche Napoleone abbia tentato di far ritirare il dipinto dall’asta. È una mossa spietata («ma quale guerra non lo è»: direbbe Napoleone) anche se assolutamente legale. Serve per far fuori tutti gli avversari con un colpo solo, rubando la palla dal campo di gioco. Bisogna convincere la casa d’aste (ovviamente d’accordo coi proprietari) a ritirare il lotto, in cambio di una congrua ricompensa. La cosa difficile è stabilire cosa sia congruo. Questo è il punto più delicato. Se si fa l’offerta sbagliata il banco salta. Non è escluso che sia andata proprio così, forse proprio a causa di un’offerta troppo generosa che ha fatto mangiare la foglia alla controparte. Fatto sta che il quadro è stato ufficialmente ritirato per i necessari accertamenti.
L’altro aspetto che ha caratterizzato la vicenda, sin dall’inizio, è stata la fuga di notizie. D’altronde come non giustificare l’eccitazione di una scoperta del genere? impossibile tenere la lingua a freno. Anche qui possiamo fare solo delle ipotesi, tuttavia è abbastanza evidente che sulla «preda» siano arrivati, quasi contemporaneamente, in molti e in ordine sparso. Alcuni erano organizzati con imbarcazioni appropriate, altri sono giunti a remi con la barca di Fantozzi e la bandierina delle repubbliche marinare. Prima di uscire in mare aperto ognuno di loro avrà sentito un esperto in materia, al fine di decifrare la carta nautica. Chi l’aveva sotto casa, chi ha telefonato a Rimini o a Napoli, chi a Roma o a Milano, chi a Londra o a New York. Tutti gli esperti, forse uno all’insaputa dell’altro, stavano convergendo sul nome di Caravaggio. Questa è una ricostruzione del tutto parziale, com’è ovvio. Non possiamo neppure immaginare che gli spagnoli siano rimasti immobili (in testa i Colnaghi), oppure altri art dealer internazionali, implacabili come sono. Fatto sta che la faccenda al suo colmo, matura come un’anguria d’estate, è esplosa.
Ma torniamo ai fatti. Lo stato spagnolo ha dichiarato l’opera di interesse nazionale e non può sfuggire a nessuno che il gesto è stato tempestivo. La palla è ritornata in campo, stretta nelle braccia dell’arbitro. Alcune voci hannogià detto la loro: Causa, Christiansen, Pulini, Sgarbi, Terzaghi (di sicuro dimenticherò qualcuno, pardon). Qualcuno pensa sia l’Ecce Homo del concorso Massimi, ovvero il quadro che Caravaggio avrebbe dipinto nel 1605 per monsignor Massimo Massimi, in gara con Passignano e Cigoli. Tuttavia in molti non concordano con questa ipotesi, considerando che lo stile esibito nel quadro sarebbe già del periodo napoletano. L’invenzione dell’Ecce Homo di Madrid era già nota a Roberto Longhi, che la pubblicava in un saggio nel 1954 (L’Ecce Homo del Caravaggio a Genova in «Paragone», 51, 1954) come di ubicazione ignota. Lo storico dell’arte credeva che l’esemplare di Genova avesse avuto particolare fortuna in Sicilia, tramite il suo allievo Mario Minniti (che difatti si ispira esplicitamente al nostro modello). Con una nuova carta in mano possiamo ricostruire la vicenda con una sequenza diversa, rispetto a quella longhiana.
Resta ancora molto da spiegare e gli studiosi dovranno dare una serie di risposte all’avvocato del diavolo. Quello che sembra metterli tutti d’accordo è la convinzione che quella specifica «situazione naturale» (come l’avrebbe chiamata Longhi) possa essere stata scelta esclusivamente da Caravaggio e non da un suo seguace. Chi ha avuto l’opportunità di vedere il quadro dal vero non ha alcun dubbio sulla sua autografia. Vedremo, c’è tutto il tempo del mondo. L’opera è rimasta nei confini europei, quindi è un bene comune. Cosa sarebbe successo se si fosse inabissata nelle profondità del mercato dell’arte? Chissà, magari sarebbe rispuntata in qualche Emirato che sventola la bandiera del Rinascimento. Anche grazie a Fantozzi non è andata così.