Il Venezuela sotto attacco cerca di uscire dall’angolo, e segna un altro punto. A Santo Domingo, dove si è svolta la 46ma Assemblea dell’Organizzazione degli Stati americani (Osa), la ministra degli Esteri Delcy Rodriguez ha ottenuto un altro importante pronunciamento: con 19 voti a favore contro 12, due assenze e un’astensione, i paesi membri hanno approvato un testo per «il rafforzamento istituzionale e il rispetto delle norme nell’esercizio delle funzioni del Segretario generale Luis Almagro». Un voto di sfiducia nei confronti del senatore uruguayano che, nonostante il parere della sua coalizione (il Frente Amplio dell’ex presidente-tupamaro Pepe Mujica) ha intrapreso una crociata contro il Venezuela bolivariano, assumendo in pieno le posizioni della Mesa de la Unidad Democratica (Mud).

Nel campo chavista, i successi diplomatici della giovane ministra degli Esteri (figlia del fondatore della Liga socialista, assassinato dai servizi segreti nel ’76), stanno provocando un entusiasmo pari a quello suscitato dalla Vinotinto nella Coppa America. Decisa e competente, Rodriguez ha tenuto testa a vecchie volpi della diplomazia, trattando da incompetente il Segretario dell’Osa e chiedendone le dimissioni. Almagro spinge per far applicare la Carta democratica interamericana contro il governo Maduro, che prevede sanzioni economiche e anche l’intervento esterno, mascherato da «aiuto umanitario». Il suo primo tentativo è stato anticipato e respinto dal voto condiviso dei paesi membri, con la sola opposizione dichiarata del Paraguay. Stati uniti e Canada hanno scelto un basso profilo, per non restare isolati. Il segretario di Stato Usa, John Kerry, pur avendo espresso più volte il suo appoggio agli obiettivi dell’opposizione venezuelana (impunità per golpisti e banchieri fraudolenti e referendum revocatorio contro Maduro) ha deciso di giocare su più tavoli, sperando comunque di cogliere una buona posta: il tavolo del dialogo proposto dalla Unasur e da alcuni ex presidenti come lo spagnolo José Zapatero, ma anche quello della Carta democratica.

Durante la 46ma assemblea è così circolato un documento «esplorativo» basato sulle posizioni di Almagro. Al contempo, però, Kerry ha proposto la riapertura delle relazioni diplomatiche con Caracas, interrotte dopo il decreto Obama (che ha definito il Venezuela «una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale degli Stati uniti e della sua politica estera»), rinnovato quest’anno. Kerry e Rodriguez si sono visti per 40 minuti, Maduro ha detto che, nonostante tutto, Obama gli è sempre stato simpatico e che quella bolivariana è «una diplomazia di pace», disposta ad avere buone relazioni con chiunque, purché in condizioni di parità e di non ingerenza.

E si attende a breve la visita a Caracas di Thomas Shannon, ex-ambasciatore degli Stati uniti in Brasile e terzo in ordine di importanza al dipartimento di Stato. Shannon, durante i governi Chavez aveva riconosciuto «la natura democratica» del governo venezuelano, dando un segno di discontinuità con le politiche di George W. Bush, ma poi le cose erano andate rapidamente peggiorando, e in molti hanno denunciato il suo ruolo a favore del «governo di fatto» che ha rovesciato Dilma Rousseff in Brasile. Il 23 giugno ci sarà un nuovo voto proposto da Almagro contro il Venezuela.

Intanto, però, il Venezuela ha convocato per il 21 una nuova riunione urgente dell’organismo: «Non si tratta di difendere o meno il Venezuela – ha detto Rodriguez – ma di preservare le istituzioni democratiche dell’Osa», messe a rischio dal comportamento di Almagro. I paesi dell’Alba hanno fatto quadrato, chiedendo le dimissioni del senatore uruguayano. La Bolivia ha minacciato di uscire dall’organismo.

In questi giorni, in cui si è ricordata la nascita di Che Guevara, il 14 giugno, la tv nazionale passa il famoso discorso del Che all’Onu, soffermandosi sulla frase che dice: «chiediamo pace»: non la pace «del sepolcro» voluta dai poteri forti, ha detto Maduro, ma quella che si coniuga con la giustizia sociale.

Nonostante il tentativo delle associazioni padronali e dei sindacati gialli di far condannare la legislazione del lavoro venezuelana presso l’Organizzazione internazionale del lavoro (Oil), e di azzerare «l’inamovibilità del lavoratore senza giusta causa» che prevede, i sindacati bolivariani l’hanno spuntata: e l’Oil ha dovuto riconoscere la conformità delle norme lavorative venezuelane al quadro internazionale. Ma la tensione resta alta nel paese, amplificata dai media internazionali. Commando di agitatori cercano di provocare incidenti nelle code per il rifornimento di alimenti sussidiati, mentre nel resto dei supermercati i commercianti sparano prezzi parametrati sul mercato nero del dollaro.
A Cumana, una città di circa 480.000 abitanti, capitale dello stato Sucre, vi sono stati 400 arresti. I giornali hanno dato notizia anche di due morti, che però non sono da collegare a quei disordini, si sono prodotte in altri contesti. I media comunitari svolgono quotidianamente inchieste che mostrano l’azione dei commando armati e denunciano il ruolo di Voluntad Popular e Primero Justicia, i partiti di Leopoldo Lopez e di Capriles Radonski. Quest’ultimo è in viaggio all’estero per chiedere a Paraguay, Argentina e Brasile si appoggiare l’intervento esterno nel suo paese. In Argentina, un folto gruppo di manifestanti lo ha costretto alla fuga al grido di «fuori il golpista».
E mentre avanza la procedura di attivazione per il referendum revocatorio contro Maduro, emergono i contorni della gigantesca frode messa in atto dall’opposizione, che ha fatto votare persone di oltre 150 anni, bambini e boss detenuti inabilitati. E persone che non avrebbero voluto. Dopo che il Cne ha messo online la possibilità di verifica della propria firma da parte dei cittadini, si moltiplicano le denunce di persone ignare che si ritrovano fra i firmatari senza averne mai avuta l’intenzione. Gruppi di operai hanno denunciato di essere stati obbligati a firmare durante il trasporto al lavoro e hanno chiesto di ritirare il proprio nome.