Il caso Snowden agita ancora le acque tra Europa, Washington e America latina. Il governo Usa ha smentito di aver negato il visto d’ingresso a diversi funzionari e imprenditori venezuelani e di aver pensato a sanzioni commerciali nei confronti di Caracas, intenzionata ad accogliere l’ex consulente Cia. Ha ammesso, però, di aver effettuato due telefonate la settimana scorsa, per convincere il governo bolivariano a estradare la talpa del Datagate. «Non accettiamo pressioni da nessuno, continueremo la tradizione di accoglienza a tutti i perseguitati politici», aveva risposto il ministro degli Esteri venezuelano, Elias Jaua. E aveva confermato la disponibilità del suo paese a dare asilo politico a Edward Snowden, che ha rivelato il gigantesco piano di intercettazioni illegali messo in campo dall’Agenzia nazionale per la sicurezza Usa (Nsa). Jaua aveva ribadito la ferma condanna del suo governo contro «le criminali violazioni» commesse da alcuni paesi europei, su indicazione Usa, nei confronti del presidente boliviano Evo Morales. A Mosca per partecipare a un vertice, Morales aveva manifestato la sua disponibilità ad accogliere Snowden, al pari dei suoi omologhi venezuelano, nicaraguense e ecuadoregno. Al ritorno, il 2 luglio, il suo aereo era stato dirottato a Vienna e costretto a rimanervi per oltre 11 ore: perché Spagna, Francia, Italia e Portogallo gli avevano impedito di sorvolare il proprio spazio.
Un serio avvertimento per Snowden, che lo ha convinto a chiedere asilo temporaneo alla Russia per poter lasciare senza rischi il terminal dell’aeroporto moscovita di Sheremetievo. Una vicenda senza precedenti che ha provocato una crisi diplomatica ancora in corso. I paesi progressisti dell’America latina non hanno considerato sufficienti le timide scuse rivolte da Francia e Spagna e poi da Portogallo e Italia: tanto più dopo le rivelazioni di Snowden circa l’esistenza di basi clandestine del Pentagono in 5 paesi dell’America latina. Ieri, Morales ha chiesto a Mercosur e Unasur l’istituzione di una commissione giuridica per indagare sulle violazioni internazionali commesse dagli Usa con lo spionaggio e ha esortato i paesi europei a dire apertamente chi ha imposto loro di vietargli lo spazio aereo. Giovedì, il parlamento ecuadoregno – con 92 voti su 136 – ha approvato una risoluzione di condanna «contro l’impiego illegale e indiscriminato dello spionaggio, e specialmente quello condotto dal governo degli Stati uniti in America latina con la complicità di multinazionali e di altri paesi». I deputati hanno anche respinto le pressioni Usa per l’estradizione di Snowden e le minacce di ritorsione, considerandole «attentati alla sovranità nazionale». In compenso, il vicepresidente Usa, Joseph Biden, ha telefonato alla presidente brasiliana Dilma Rousseff dicendo di essere «dispiaciuto» per lo spionaggio e ha invitato una delegazione brasiliana a verificare i programmi di vigilanza realizzati da Washington.
Ieri il presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, si è nuovamente riferito alle «persecuzioni», alle «pressioni» e alle «violazioni del diritto internazionale» compiute dagli Usa dopo il caso Snowden: per chiedere «una immediata rettifica» a Samantha Power, futura ambasciatrice di Washington all’Onu, la quale ha promesso di impegnarsi a fondo contro «la repressione» a Cuba e in Venezuela. Le dichiarazioni di Power – ha detto Maduro – sono «ingiuste e fuori luogo» e spezzano il filo di dialogo che sembrava essersi aperto con gli Usa. Il presidente socialista ha anche annunciato che nel suo paese verrà installato il sistema antiaereo «più potente del mondo» per far fronte alla minaccia degli Usa, accusati di appoggiare i piani destabilizzanti della destra venezuelana.