Il Venezuela ha lasciato il sistema interamericano dei diritti dell’uomo. Il presidente Maduro ha dato l’annuncio formale: sia la Corte che la Commissione interamericana per i diritti dell’uomo (Cidh), due pilastri del sistema giuridico dell’Organizzazione degli stati americani (Osa), secondo lui sono «nelle mani» degli Stati uniti e «al servizio dell’impero». Il 6 settembre dell’anno scorso, mentre era ministro degli Esteri, Maduro aveva inoltrato una denuncia di dieci pagine contro i due organismi, indirizzandola al segretario generale dell’Osa Miguel Insulza. Da allora, secondo la prassi, doveva trascorrere un anno prima che la decisione fosse operativa. Caracas è pertanto uscita dalla Cidh, di cui fa parte dal 1977.
La Commissione, con sede a Washington, è stata creata nel 1959 ed è un organo consultivo dell’Osa, il quale redige rapporti sulla situazione dei diritti umani nel continente ed emette «raccomandazioni». Il suo parere costituisce il primo gradino per l’accesso alla Corte, che ha sede a San José in Costa Rica, dov’è stata istituita insieme alla Convenzione americana dei diritti umani, nel ’69. È abilitata a esprimere giudizi contro gli stati che ne riconoscano la competenza, per esempio nel caso in cui questi non seguano le raccomandazioni della Commissione. Gli Stati uniti non hanno firmato la Convenzione, sottoscritta da 25 stati americani, tranne Cuba, nel ’78. Eppure – ha denunciato a più riprese il Venezuela – la presa di Washington determina il colore del giudizio, sempre viziato nei confronti del paese bolivariano. Durante il golpe contro Chávez, messo in atto dai poteri forti asserviti a Washington nel 2002, nonostante le evidenti prove, nessuna condanna è arrivata dalla Cidh: che anzi ha appoggiato immediatamente il presidente illegittimo Carmona Estanga, capo degli industriali. Dopo il golpe, Chávez ha vietato alla Commissione di entrare in Venezuela.
La denuncia di Maduro ha richiamato altre significative mancanze, precedenti l’elezione di Chávez: condanne inesistenti contro il governo di Andrés Pérez (centrosinistra), che risolse con l’esercito la rivolta contro il carovita detta il Caracazo (2.000 morti nella sola Caracas). Nessuna sanzione neanche dopo il massacro di Cantaura (’82) o di Yumare (’86) compiuti contro gli oppositori di allora. In compenso, la Cidh ha imposto il reintegro del deputato di opposizione Leopoldo Lopez, sospeso dalle cariche pubbliche per corruzione. Lopez, in primo piano nel golpe del 2002, è anche accusato di aver organizzato le violenze post-elettorali del 14 aprile. In compenso – accusa Maduro – la Cidh si è ripetutamente manifestata dopo il 1999 «in circostanze prive del carattere di urgenza, come nel caso dei progetti di Legge sulla cooperazione o sull’informazione in Venezuela». Pronunciamenti politici per interferire negli affari interni dei paesi, hanno denunciato anche i governi progressisti di Ecuador e Bolivia, che chiedono la creazione di una Corte latinoamericana per i diritti umani: con facoltà di giudicare chi «in nome della Casa bianca o del Pentagono invade paesi e compie violazioni», ha affermato da Caracas la Procuratrice generale Diaz.
La destra venezuelana si è invece unita alle proteste di Miguel Vivanco, direttore per le Americhe di Human Rights Watch, e al «profondo rammarico» di Insulza. Vivanco ha detto di aver inviato comunicazioni agli stati del Mercosur per far recedere Maduro dalla decisione ma di non aver ottenuto alcun effetto. «La costituzione bolivariana – dice la denuncia di Maduro – mette al centro i diritti umani intesi nella loro complessità: a partire da quelli fondamentali, che attengono alla possibilità di una vita degna, e alla garanzia per tutti i popoli di uno sviluppo autonomo e sovrano».