Nel metro di Caracas, un uomo commenta i titoli di un quotidiano privato che tuona contro “la dittatura”. La ragazza di fronte ha la maglietta con la scritta “Chavez vive” e legge un libro sui “piani dell’imperialismo in America latina”. Poco distante, si scorgono berretti tricolori e bandiere: il giallo (simbolo dell’oro e delle terre fertili), l’azzurro (del mar dei Caraibi che bagna le coste) e il rosso (che ricorda il sangue versato nelle lotte indipendentiste).  Sembrano uguali, ma non lo sono, e stanno portando in piazza due manifestazioni diverse: gli Studenti per la pace, che appoggiano il governo contro “l’aggressione fascista”; e la marcia nazionale “contro la dittatura e per la libertà” indetta dall’opposizione.

Otto stelle nella fascia azzurra distinguono la bandiera bolivariana, l’allora governo Chavez le ha adottate nel 2006 per includere la Guayana nel numero delle sue province. La Mesa de la unidad nacional (Mud), continua invece a esporre le sette stelle, sia sulla bandiera che sul berretto tricolore, che ha deciso di contendere al campo chavista. Per distinguersi, i militanti socialisti hanno aggiunto la scritta “4F”: 4 febbraio, giorno della ribellione civico-militare guidata dall’allora tenente colonnello Hugo Chavez nel 1992. E’ dalle presidenziali del 2012, vinte da Chavez contro Henrique Capriles, che la Mud cerca di volgere a proprio vantaggio la propaganda del campo avverso: fino ad assumere alcuni temi della sinistra, per strappare consensi negli strati popolari nonostante il suo progetto di paese sia tarato sul modello del Fondo monetario internazionale.

Il leader di Voluntad popular, Leopoldo Lopez – in carcere con l’accusa di aver istigato le violenze di piazza che hanno finora provocato 36 morti – si è consegnato alla polizia sotto la statua di José Marti, eroe dell’indipendenza cubana. Intanto i gruppi oltranzisti, fomentati dalla sua consegna e da quella della deputata Maria Corina Machado (la caduta del governo di Nicolas Maduro) bruciano i Centri diagnostici integrati gestiti dai medici cubani. E chiedono agli Stati uniti di intervenire “contro la dittatura castrista in Venezuela”. Il profilo e il percorso di Machado parla da sé. Figlia di una ricchissima famiglia di imprenditori, ha firmato il decreto Carmona, nel 2002: il primo atto del breve governo golpista dell’imprenditore Pedro Carmona Estanga, con il quale venivano sospese tutte le garanzie costituzionali. Con la Ong Sumate – emanazione della Cia – ha organizzato il referendum revocatorio poi perso contro Chavez e ha rivendicato con orgoglio l’amicizia con il suo grande padrino George W. Bush. Da allora, compare nelle informative di intelligence per i tentativi destabilizzanti con cui vorrebbe coronare i suoi sogni presidenziali mentre dai banchi del parlamento tuona contro “la dittatura”. Con il fattivo appoggio del Panama, è volata negli Usa per parlare all’Organizzazione degli stati americani (Osa). Ha ottenuto solo pochi minuti di intervento privato a porte chiuse, durante il quale si è rivolta al Brasile e al Cile: “In Venezuela ci sono tante Dilma e tante Michelle”, ha detto, alludendo alle torture subite dalla presidente brasiliana Dilma Rousseff e dalla sua omologa cilena Michelle Bachelet durante le dittature subite nei loro paesi.

Cosa rara nella sua storia di subalternità a Washington, l’Osa ha recentemente rifiutato di inviare emissari in Venezuela, come aveva invece proposto il presidente panamense Ricardo Martinelli. Maduro ha rotto le relazioni diplomatiche e commerciali col Panama, ma Martinelli – in vista delle prossime presidenziali panamensi – ha deciso di spingere a fondo sul pedale di Washington: per far cadere il governo socialista del Venezuela, fondamentale tassello dell’America latina progressista, custode delle più grandi riserve petrolifere del mondo. Gli Usa hanno pronta una risoluzione bipartisan per disporre sanzioni dirette al Venezuela, e hanno protestato perché l’ultima risoluzione dell’Osa “non parla la lingua che gli Stati uniti speravano”. Hanno anche espresso “preoccupazione” per il duplice intervento della magistratura ordinaria e del Tribunal supremo de justicia (Tsj) contro alcuni sindaci di opposizione, denunciati per la partecipazione attiva nelle barricate violente e per non aver rispettato le disposizioni costituzionali ribadite dal Tsj. Intanto, in alcuni stati e municipi della capitale, continuano i blocchi stradali e le “guarimbas” – barricate di cemento, chiodi e spazzatura data alle fiamme. Ieri vi sono stati altri 3 morti negli stati di frontiera dove agiscono gruppi armati. Continuano anche le Conferenze di pace indette da Maduro e la massiccia erogazione di risorse decise nel “governo di strada”, che ha concluso alcuni accordi con gli industriali per evitare il contrabbando e l’accaparramento di alimenti. Secondo i dati ufficiali, i danni provocati dalle proteste violente dal 12 febbraio a oggi ammontano a 10 milioni di dollari.