Caras, ieri, ha offerto al mondo la rappresentazione più esplicita di quel che sta accadendo nel paese: quale partita si stia giocando, con quali attori e per quali interessi. Due manifestazioni hanno percorso la capitale, sintetizzando il senso degli avvenimenti intercorsi dal 12 febbraio a oggi. Oltre 50.000 lavoratori del settore petrolifero hanno marciato a pugno chiuso fino al palazzo di Miraflores nel giorno della firma del contratto di categoria: per difendere il governo che, da quindici anni, ha messo al centro gli interessi del blocco sociale a cui appartengono. Un’altra grande marcia si è diretta al ministero degli Interni Giustizia e Pace, organizzata dall’opposizione. La Mesa de la unidad democratica (Mud) ha risposto così all’appello del leader di Voluntad popular, Leopoldo Lopez.
Lopez si era reso irreperibile a seguito di un mandato di cattura che lo ritiene mandante delle violenze di piazza scoppiate il 12 febbraio. Anche in quell’occasione, nella giornata della Gioventù, si erano viste in piazza due diverse rappresentanze. Le camicie rosse del chavismo festeggiavano il bicentenario di una rivolta giovanile contro il colonialismo spagnolo. L’opposizione animava una manifestazione studentesca di segno opposto, seguita a diversi momenti di scontro in alcuni stati del paese federale. Tutto sembrava svolgersi nella calma: il grosso degli studenti intendeva portare una lettera di richieste alla sede della Fiscalia, il Ministerio publico. All’improvviso, però, gruppi oltranzisti hanno cercato di entrare con la forza negli edifici del ministero. Qualcuno su una moto di grossa cilindrata ha centrato alla testa un noto militante dei collettivi del 23 Enero, storico quartiere popolare. Nello stesso modo è stato eliminato un ragazzo di opposizione e un altro chinato a soccorrerlo. Una provocazione eversiva, per il governo, e anche per i collettivi che sostengono il proceso bolivariano.
Ieri, Nicolas Maduro ha sostituito il generale di brigata, Manuel Gregorio Bernal Martinez, alla direzione del Servicio bolivariano de inteligencia nacional (Sebin). Martinez aveva ricevuto l’incarico il 24 gennaio scorso. A capo dei servizi segreti, è ora un altro generale, Gustavo Enrique Gonzalez Lopez: «Un gruppo di funzionari non ha rispettato gli ordini del direttore del Sebin», ha detto il presidente venezuelano, mentre alcuni giornali di opposizione come Ultima noticias facevano circolare immagini di uomini armati dei servizi segreti. Sui giornali contrari al chavismo (che sono la maggioranza) è comparsa anche la notizia dell’arresto di un esponente dei corpi speciali del Sebin, Collazos Rangel. E il ministro degli Interni, Miguel Rodriguez Torres si è incontrato con i sindaci di opposizione di alcuni municipi in cui si sono verificate violenze e devastazioni, e anche con il governatore dello stato Miranda, nonché leader della Mud, Henrique Capriles Radonski: «È necessario compiere una verifica dettagliata di ogni corpo di polizia per sapere in cosa sta impiegando i suoi funzionari, verificare che tutti assolvano al compito per cui sono chiamati e non si distraggano in quelli che non gli competono», ha detto Torres.
Ieri, come aveva annunciato, Lopez è sceso in piazza e si è consegnato alla polizia, un rametto di fiori in una mano e la bandiera venezuelana nell’altra. Ad accompagnarlo, altri due leader della Mud animatori della campagna che chiede l’uscita dal governo di Maduro («la salida»). Anche Capriles era in piazza, ma per chiedere ai manifestanti calma: «Ci dev’essere un’agenda sociale e una protesta pacifica», ha detto. Nella Mud c’è scontro per la leadership e per nuovi ruoli, dopo l’appello alla conciliazione rivolto da Maduro, e accolto da molti oppositori: «Il popolo è stanco di scontri», ha affermato Edgar Zambrano, leader di Ad (il centrosinistra della IV repubblica).
Il governo si è dato sì come obiettivo la «pacificazione», ma in una direzione diversa da quella sognata da alcuni dei suoi ex entusiasti come Heinz Dieterich. Il sociologo tedesco-americano vorrebbe «un governo di salvezza nazionale» che includa Capriles per scongiurare una guerra civile.
Il Venezuela non è l’Ucraina», ha detto Maduro, forte del consenso sui massicci investimenti sociali che, solo nel 2013, hanno rappresentato il 54% del bilancio statale. Di certo la partita che sta giocando l’ex autista del metro è ardua, e va di traverso a un ben preciso arco di poteri forti, in Venezuela e fuori: dalle grandi catene commerciali abituate a un ricarico stellare sui prezzi e che ora non può superare il 30%, ai neoliberisti delle cerchie padronali legate al grande capitale multinazionale: perché il paese non possiede noccioline, ma le più grandi riserve petrolifere al mondo. Ancora troppo dipendente dalla rendita petrolifera, sconta una destabilizzazione economica evidenziata dallo scarto esistente tra lo scarto esistente tra il livello di cambio ufficiale e quello al nero. Una speculazione graditadalle grandi imprese, che ricevono i dollari a tasso agevolato dal governo ma preferiscono trafficare anziché investire. Una partita complessa e a vasto spettro in cui si riflette una battaglia di concezioni. I grandi media che gridano alla «dittatura» dovrebbero però ricordare il 27 febbraio dell’89, quando il socialdemocratico Carlos Andrés Pérez sparò sulla folla che protestava per far rispettare il modello Fmi: quello che piace tanto a Lopez e compari sulle cui fila, però, nessuno ha ancora sparato.