Graziella Mascia ci ha lasciati salvaguardando fino all’ultimo ciò che portava a noi di prezioso, la sua dignità, un senso profondo della vita, quell’intima coerenza che aveva a lungo coltivato anche quando il cammino si era fatto aspro.

In altri tempi, anche in quelli vissuti insieme a cavallo del ‘900, Graziella sarebbe stata accompagnata da quel rito che il movimento operaio aveva costruito per salutare una compagna o un compagno, e per rinsaldare l’appartenenza comune a uno stesso popolo e portare con sé la persona perduta in una storia che continuava.

La sua gente, le rosse bandiere, l’Internazionale sussurrata facevano vivere un rito politico che Graziella ha meritato.

Oggi quel popolo è disperso, il rito è stato abbandonato eppure tante compagne e compagni l’hanno voluta salutare, dove e come hanno potuto.

Non so se può valere anche per Graziella la formula dell’Internazionale di Franco Fortini, «fu vinta e vincerà», non so neppure se Graziella «fu vinta».

Sconfitta è stata la grande storia in cui ha militato ma la persona che da quella storia, da quel sogno leniniano, da quella speranza ha tratto un senso per la propria esistenza, per stare nel mondo, sconfitta non può certo dirsi.

Graziella ha vissuto una bella vita. Credo che avrebbe voluto essere ricordata come una comunista. Di lei lo si può dire, lo si deve dire.

Mi piacerebbe che alla calviniana «ragazza dai colori dell’aurora» che vive in questi nostri giorni possa giungere la lezione intera della sua vita.

Una passione politica forte, una netta scelta di campo non hanno mai velato l’esigenza di attraversare i confini, di incontrare le diversità, di cercare nuove relazioni e di esplorare nuovi territori.

La liberazione è stato il suo orizzonte. «Ho sempre messo sopra il Partito l’interesse del movimento operaio» ebbe a dire Rodolfo Morandi. Graziella ha praticato quel testamento politico.

Ella veniva dall’orgogliosa ortodossia di classe e comunista di quell’ambiente milanese che ne aveva fatto una divisa ma era stata capace di aprirsi al valore politico dell’innovazione, della rottura e dei movimenti.

Le starebbe troppo stretto racchiuderla nelle storie, pur per lei così importanti, di Rifondazione Comunista, del Partito della Sinistra Europea, di Altramente e persino di quella tappa così forte che è stata Genova. Vicende importanti, eppure non esaustive.

Alla «ragazza dei colori dell’aurora» vorremmo poter dire che quella di Graziella è una lezione di vita che può interessare anche lei. Oggi tutto è cambiato, il panorama in cui si vive è sconnesso ed è difficile leggervi e trovarvi un filo rosso. Ma le donne come

Graziella sono diventate così belle persone anche perché non hanno mai smesso di cercare quel filo, di cercarlo insieme ad altri, tanti nei momenti buoni, pochi in quelli bui, senza smettere però mai di cercare.

La sua gente era fatta anche di nuovi incontri, di culture diverse, di altre generazioni.

La sua presenza nelle istituzioni repubblicane, come nel partito, era rivolta al farsi concreto dei movimenti, alle relazioni con i suoi protagonisti, facendo della presenza in essi, fino alla protezione nei confronti di ogni tentativo di repressione, una costante così

ben esemplificata da quella foto che la ritrae a mani nude di fronte alla muraglia degli scudi della polizia. Graziella Mascia ha tratto dalla politica un senso della vita, ma la sua vita è stata più ricca, è stata permeata da una umanità partecipe, generosa e appassionata.

È stata una donna di grandi passioni, capace di donare amore; è stata una donna che ha vissuto pienamente. È stata madre tenera e protettiva, nonna amorevole, amica generosa. Ha saputo sottrarre tempo e spazio persino all’avversario più invincibile, la morte.

Ha fatto onore alla vita.

Graziella Mascia avrebbe potuto lasciarci, secondo la celebre formula dicendo di sè: «Ho combattuto la giusta battaglia, ho terminato la mia corsa, ho mantenuto la fede».

Le sia ora lieve la terra.