Intramontabile storia d’amore e di lotta alle convenzioni e al potere, Romeo e Giulietta è uno dei titoli più frequentati dal balletto e dalla danza. Tra le sue versioni un posto a parte ha il Roméo et Juliette di Angelin Preljocaj, coreografo franco-albanese tra i maggiori autori di danza d’oltralpe, che oggi dirige il suo Ballet Preljocaj al Pavillon Noir di Aix-en-Provence. Il suo Roméo et Juliette, titolo inaugurale del Festival Torinodanza quattro giorni fa in scena al teatro Regio di Torino, debuttò nel 1990 con il Lyon Opera Ballet, una rivisitazione che ha fatto storia per lo spostamento della vicenda in un immaginario paese dell’Est sotto dittatura in cui la tradizionale famiglia Capuleti si trasforma nel poliziesco e coercitivo gruppo al potere, con tanto di cani lupo al guinzaglio a controllo di una sinistra città fantasma.

Al posto dei Montecchi c’è la gente che non ha diritto a nulla, straccioni e poveracci che vivono ai margini della società. Il contrasto tra il gruppo di regime e gli emarginati era strepitosamente risolto nella drammatica differenza di stile della danza: meccanica, nutrita di una gestualità rigida e insofferente alla cedevolezza la danza della famiglia di Giulietta, morbida, favolosamente piena di linee rotonde, quella di Romeo e dei suoi amici. Contrasto marcato anche dalla differenza dei costumi. In nero i dominanti, in stracci chiari i dominati. Giulietta appariva in bianco con un costume indimenticabile, fuseaux corti, corpetto rigido appuntito nel seno.

Quasi androgina nel suo primo incontro con Romeo a quello che normalmente è il Ballo Capuleti. Uno contro l’altro nel primo non canonico lift in cui l’amore ha inizio. La tragedia si consumava così anche nella trasformazione della danza dei due protagonisti: man mano Giulietta imparava dallo straccione Romeo una nuova lingua del corpo, sciogliendo le linee in una nuova cantabilità musicale mentre la partitura di Sergej Prokofiev accompagnava il balletto inframmezzata dai suoni sordi e rombanti di Goran Vejvoda nel clima di guerra a paura in cui si snoda il racconto.

Sono passati 27 anni da quell’indimenticabile debutto che colpiva non solo per la novità della danza ma per la capacità di riscrivere una storia ambientandola in un conflitto politico e sociale attuale. Oggi il Roméo et Juliette di Preljocaj è un «classico» della modernità, rivederlo a distanza di decenni è scoprire quanto ha fatto scuola, fonte di ispirazione di altre riletture e soluzioni coreografiche. Resta sempre magnifico il famoso passo a due della camera da letto, consumato sotto l’incombente struttura centrale (scene di Enki Bilal, autore anche dei costumi originali), con i due amanti sdraiati su una tavola rettangolare.

Un passo a due visto dall’alto che nella bellezza è già tragicamente presagio di morte. Tante le cose da riscoprire: Preljocaj usò ai tempi, ed era una novità poi molto sfruttata dalla danza contemporanea, la duplicazione dei personaggi, la nutrice non è più sola ma raddoppiata, entrambe le danzatrici che la incarnano indossano un abito imbottito, metà bianco e metà nero perché, pur nella differenza dello stile del racconto, la nutrice resta sempre come in Shakespeare il personaggio ponte tra le due famiglie. Appartiene ai Capuleti ma hanel cuore il graffio popolare di Romeo.

Il Ballet Preljocaj, composto oggi da 24 ballerini stabili, è una compagnia in ottima forma, ha all’attivo un repertorio notevole, costruito da un artista che sa perfettamente cosa significhi fare coreografia. Ma come entrano i danzatori di oggi nel Roméo et Juliette di ieri? Tecnicamente sono ineccepibili, tuttavia ci è sembrato fosse più debole rispetto alle origini la sottolineatura, che era fortissima, della trasformazione drammatica dei due amanti nel corso del balletto attraverso la danza. Giulietta (Yurié Tsugawa) vestita semplicemente di bianco (perché non rimettere il costume originale?) è già cedevole al primo incontro, morbida nel primo abbraccio con Romeo: vediamo meno nei personaggi lo sviluppo tragico del conflitto tra chi si è e chi si ama, così portante nella storia. La pozione è resa visibile ora da un gioco di drappi rossi, più d’effetto però che di sostanza. Il pezzo resta comunque un cult della coreografia anni Novanta, giustamente molto applaudito.