«Non può esserci giustizia dove c’è abuso. E non può esserci rieducazione dove c’è sopruso». Mario Draghi lo dice chiaramente davanti alla platea che lo ascolta a Santa Maria Capua Vetere, ancora incredula nel vedere, per la prima volta nella storia repubblicana, un Presidente del consiglio e una Guardasigilli che accorrono nel carcere della «ignobile mattanza» di turno.

«Se non ci fossero stati quei video probabilmente non sarebbe venuto nessuno qui», commenta il Garante dei detenuti campano Samuele Ciambriello che pure nutre «profonda fiducia nella riforma» annunciata dalla ministra Marta Cartabia. Quando Draghi scende dell’auto, arrivato davanti all’istituto, «l’applauso dei padiglioni si è sentito ben oltre le mura del carcere», racconta ancora Ciambriello, «sorpreso» ed «emozionato» nel vedere «due politici non di professione che applicano finalmente la regola del vieni e vedi».

SIAMO QUI, DICE DRAGHI rivolgendosi al Capo del Dap Petralia, al Provveditore Regionale Cantone, al Garante nazionale dei diritti dei detenuti Palma e alla direttrice del carcere Palmieri (non indagata perché assente nei giorni delle violenze), «ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte. Venire in questo luogo – aggiunge – significa guardare da vicino per iniziare a capire. Quello che abbiamo visto negli scorsi giorni ha scosso nel profondo le coscienze degli italiani. E, come ho appreso poco fa, ha scosso nel profondo la coscienza dei colleghi della polizia penitenziaria che lavorano con fedeltà in questo carcere».

Usa la parola «comunità», quella che non piace a certi sindacati di polizia, per definire l’universo carcerario. Afferma che «la detenzione deve essere recupero, riabilitazione», e poi ricorda il diritto costituzionale all’integrità psicofisica dei reclusi, «all’istruzione, al lavoro e alla salute». E ricorda anche che «l’Italia è stata condannata due volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per il sovraffollamento carcerario». Eppure non pronuncia mai la tanto attesa (da chi è recluso) parola amnistia (l’ultima nel 1990) o indulto (l’ultimo nel 2006). Atti non a caso contemplati dalla nostra Costituzione ma assimilati nella cultura giustizialista attuale ad ignominie.

IL PREMIER DURANTE la lunga visita (tre ore) si accorge dei tanti detenuti con problemi psichici rinchiusi nel padiglione Nilo, quello della «mattanza». E ne parla. Forse però non si accorge del paradosso di una prigione le cui sezioni portano i nomi di fiumi, come il Senna, l’alta sicurezza femminile che Draghi e Cartabia hanno visitato ieri, ma «non ha condotta idrica – riferisce Ciambriello -, e i reclusi sono costretti ad usare acqua in bottiglia anche per l’igiene personale». Il presidente del Consiglio, nel suo discorso, ringrazia i «tanti servitori dello Stato» che «in un contesto così difficile, lavorano ogni giorno, con spirito di sacrificio e dedizione assoluta». Ma avverte: «Il Governo non ha intenzione di dimenticare. Le indagini in corso ovviamente stabiliranno le responsabilità individuali, ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato. Le proposte della Ministra Cartabia rappresentano un primo passo che appoggio con convinzione».

LA GUARDASIGILLI INFATTI fa notare che «l’Italia è l’unico Paese europeo che ha un’unica pena: il carcere. Gli altri hanno molte pene». E promette: «Mai più violenza, quegli atti sfregiano la dignità delle persone umane. Il carcere è un luogo di dolore, di pena, di sofferenza, ma non sia mai un luogo di violenza e di umiliazione». A questo proposito, ieri tre senatori (i capogruppo dem della commissione Giustizia, Mirabelli, e Diritti umani, Fedeli, e Sandro Ruotolo del gruppo Misto) hanno depositato a Palazzo Madama una proposta di commissione monocamerale d’inchiesta sulle violenze nelle carceri (nei confronti dei detenuti e degli agenti). Un provvedimento che potrebbe dare sostanza alle parole, sia pur mai pronunciate prima in un simile contesto, usate dall’ex presidente della Corte costituzionale per sottolineare che «i problemi delle carceri sono problemi di tutto il governo e di tutto il Paese. La sua presenza – afferma Cartabia – dice e le sue parole esplicitano che di quei problemi tutto il governo vuole farsi carico».

TRA LE TANTE QUESTIONI emblematiche cui la ministra potrebbe rivolgere subito la sua attenzione, c’è quella della morte di Lamine Hakine, il detenuto algerino schizofrenico deceduto a S. M. Capua Vetere in circostanze ancora da chiarire un mese dopo la «mattanza» di cui, secondo i testimoni, sarebbe stato anch’egli vittima. Particolare vittima. Il suo caso è stato stralciato dal Gip dall’inchiesta sulle violenze, e archiviato. Il cadavere del giovane è stato sottoposto ad autopsia senza la presenza di un medico o di un avvocato di parte, la salma sarebbe stata rimpatriata ma non è dato sapere dove e a chi sarebbe stata affidata. E i suoi dati, come riferisce Ciambriello, «sono scomparsi già dai computer del Dap» (si sa solo che era nato «nel giugno 1992»).

Il Garante campano nel maggio 2020 scrisse una lettera ai direttori del carcere chiedendo «informazioni dettagliate» in merito, e «se è vero che il decesso è riconducibile ad asfissia da gas», come si mormorava nei padiglioni. Ha ricevuto solo una risposta vaga, senza dettagli «in quanto risultano ancora in fase di accertamento». E ancora ieri Ciambriello, che a Santa Maria è entrato anche prima della visita di Draghi e Cartabia, ha ricevuto le medesime risposte.

DUNQUE BEN VENGA il proposito, espresso dalla Guardasigilli ieri: «Ora – ha affermato Cartabia – spetta a noi trasformare la reazione ai gravissimi fatti qui accaduti in un’autentica occasione per far voltare pagina al mondo del carcere».