Captain America fa la sua entrata in scena nel mondo dei fumetti nel dicembre del 1940 scaricando un pugno micidiale sulla mascella di Adolf Hitler. La casa editrice era la Timely che solo in seguito diventerà la Marvel che tutti conoscono. Il personaggio, creato da Joe Simon e Jack Kirby, entrambi ebrei, era la reazione viscerale e visionaria alla devastazione provocata in Europa dalla Germania nazista. Salutato da uno straordinario, successo di pubblico, la Sentinella della libertà entra a far parte dell’universo super-eroistico della Marvel solo nel marzo del 1964, nell’albo numero 4 de I Vendicatori.

Il gap storico e politico che separa il declino del personaggio per porlo alla guida degli Avengers è risolto con un espediente narrativo: il corpo del Capitano, finito in ibernazione fra i ghiacci, si ritrova a vivere in un mondo che non è il suo iniettandovi però la sua instancabile carica di idealismo rooseveltiano. Da sempre crocevia delle tensioni politiche intercettate dalla Marvel, Capitan America (stando alla dicitura della storica Editoriale Corno di Luciano Secchi) rappresenta il personaggio che meglio ha incarnato e vissuto le contraddizioni e le speranze degli anni Sessanta (assieme a L’uomo ragno) sino a rinunciare addirittura al suo costume a stelle e strisce diventando… Nomad. Inevitabile che i migliori sceneggiatori della Marvel abbia subito l’influenza del fascino del personaggio. Uomo fuori dal tempo, condannato a un’eterna giovinezza, legato al suo paese da un amore sovente tradito e per questo trattato spesso da anti-americano, la complessità di Captain America e pari solo a quella di Superman.

Intrecciando dunque la linea temporale Ultimate (più hardboiled) così come l’aveva originariamente concepita lo scrittore Mark Millar con la tradizionale continuity marvelliana, ossia il flusso temporale nella quale vivono e interagiscono tutti i supereroi della Casa delle idee, l’universo cinematografico della Marvel si offre di fatto come la terza via delle narrazioni Marvel. Universo narratologico composito, eppure facilmente fruibile anche da quanti sono a digiuno degli intrighi e dei paradossi temporali escogitati nel corso dei decenni da Stan Lee e dai suoi discepoli e discendenti, il secondo capitolo delle avventure cinematografiche di Captain America prende l’abbrivio da una saga scritta da Ed Brubaker – sceneggiatore fra i più talentuosi degli ultimi decenni insieme a Brian M. Bendis, Kieron Gillen, Jonathan Hickman – che vede al centro dell’azione un misterioso supercriminale dotato di un braccio d’acciaio. I lettori dei fumetti ovviamente già sanno chi si cela dietro la maschera dell’agilissimo e taciturno mercenario ma ciò non priva il film del suo forte fattore di divertimento il cui sottotesto, però, cela non pochi spunti d’interesse.

Captain America, infatti, alle prese con l’ossessione securitaria incarnata da Nick Fury, che crede fermamente all’aggressione preventiva per tutelare il cosiddetto mondo libero, gli oppone un idealismo libertario di matrice frankcapriana. Nel rovesciamento che vede lo Shield infiltrato dall’Hydra si ritrovano non solo le teorie cospirazioniste riguardanti il 9/11 ma anche la preoccupazione fortissima per lo stato di salute della democrazia statunitense. Siamo, insomma, ancora in pieno territorio… post-Watergate. La dimostrazione, semplicistica ma efficace, di quanto Giorgio Agamben afferma nel suo scritto Ossessione securitaria e democrazia: «È solo dopo che un crimine è stato compiuto che lo Stato può intervenire».