Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni e promotore della campagna per il referendum sull’eutanasia legale, la presidenza della Cei ha espresso «grave inquietudine» per quello che state facendo. Una posizione emersa quando già le 500mila firme necessarie per indire il referendum sono state raccolte. Si tratterebbe, per i vescovi, della «vittoria di una concezione antropologica individualista e nichilista in cui non trovano più spazio né la speranza né le relazioni interpersonali».

Il punto comune di queste prese di posizione, penso anche a quella di Monsignor Paglia dei giorni scorsi, è sempre lo stesso: non si dà alcun valore alla libertà e alla responsabilità individuale. O comunque si mettono questi elementi in secondo piano rispetto a una concezione ideologica della vita, che appare come un dovere. Di conseguenza la vita può diventare anche una potenziale condanna.

La Cei, citando la lettera «Samaritanus bonus» della Congregazione per la dottrina della fede sulla cure delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita, aggiunge che il magistero della Chiesa «ricorda che, quando si avvicina il termine dell’esistenza terrena, la dignità della persona umana si precisa come diritto a morire nella maggiore serenità possibile e con la dignità umana e cristiana che le è dovuta».

Mi permetto un’invasione di campo: da un punto di vista teologico in questo modo si calpesta il principio del libero arbitrio, che è fondamentale. Dal punto di vista pratico si finge di ignorare che l’alternativa alla nostra proposta è la clandestinità. La domanda che andrebbe fatta alla Cei e al Vaticano è semplice: che valutazione danno dell’eutanasia clandestina? Nella clandestinità avviene di tutto: esiste il suicidio per disperazione del malato terminale, ci sono quelli che vanno in esilio all’estero perché possono permetterselo, c’è il medico pietoso e ci sono gli abusi fatti di nascosto, magari per le ragioni più ignobili.

Dice quindi che la Cei e il Vaticano parlano dell’eutanasia in sé quando il problema è la sua legalizzazione?

Sì, il Vaticano elude sistematicamente una parte di ragionamento. Loro pongono la questione sul sì o no all’eutanasia, ma in verità la scelta è tra eutanasia legale e eutanasia clandestina. Nessuno propugna l’eutanasia come un valore, come nessuno ha mai pensato una cosa del genere sull’aborto. Si tratta in realtà di una scelta di legalità.

Esistono molti cattolici che hanno comunque deciso di appoggiare questa battaglia sull’eutanasia legale. Come se lo spiega?

Possiamo intendere la Chiesa in due modi: come gerarchia e come comunità dei credenti. Tutti i sondaggi fatti sul tema evidenziano che la maggioranza dei cattolici è sulle nostre posizioni. Posso anche citarne alcuni: Mina Welby è cattolica ed è tra le leader di questa campagna. Il dibattito teologico mondiale, inoltre, sta ragionando sul serio sulla legalizzazione dell’eutanasia, si pensi al teologo svizzero Hans Küng, ai cattolici belgi, ai valdesi, ad alcune frange della chiesa evangelica. Ovviamente non esiste alcun riferimento nei testi sacri in grado di avvalorare una tesi o l’altra, quindi il dibattito non può che essere aperto. Faccio un esempio. L’espressione che spesso viene usata dai contrari all’eutanasia legale è questo slogan: difendere la vita dal concepimento alla morte naturale. Credo sia una frase molto confusa: cosa c’è di naturale in una malattia terminale che blocca le persone per tempi lunghissimi? Morire, ormai, è diventato un processo che dura settimane, mesi, talvolta anni. Il singolo individuo interagisce sempre più con il proprio morire. Per questo bisogna essere liberi di decidere: in quella fase della vita non sono poche le scelte da fare. E non vi è niente di naturale nell’imposizione di condizioni di sofferenza molto artificiali, peraltro spesso contro la volontà del malato.

La campagna per il referendum sembrerebbe essere andata oltre le migliori previsioni. Se lo aspettava?

Sicuramente non me l’aspettavo in questa misura, andremo avanti comunque fino a settembre con l’obiettivo di arrivare a 750mila firme. Per il resto, quando abbiamo cominciato avevamo una consapevolezza: se facciamo il referendum e questo si svolge in condizioni decenti di informazioni e contraddittorio, lo vinciamo. Pensiamo che il dibattito sull’eutanasia legale è maturo nel paese e non c’è sondaggio che dia meno del 60% di favorevoli alla nostra proposta. Se non avessimo pensato di avere una maggioranza di persone molto più avanti del ceto politico non avremmo mai cominciato questa campagna. Mi ha molto stupito vedere il numero di giovanissimi che si sono impegnati in province remote e centri minori. Tutto questo, peraltro, è stato fatto senza la grande politica e senza la grande informazione. È stato un lavoro sottotraccia che ha portato a un risultato francamente sorprendent