Ancora una volta a vincere le elezioni in Portogallo è stata l’astensione, in crescita rispetto alle scorse europee: ben più della metà degli aventi diritto, il 65%, non ha votato. Certo, la destra responsabile di quei tagli rimedia una delle peggiori sconfitte della sua storia. Alleati, il Partido Social Democrata (Psd) e il Centro Democratico e Social Partido Popular (Cds/Pp) si fermano al 27,7%, 13 punti percentuali in meno rispetto alle europee del 2009.

Il punto però è che alla disfattadella destra non corrisponde una netta affermazione del Partido Socialista (Ps) che si è fermato al 31%, + 5% rispetto al 2009, ma lontanissimo dal 44% ottenuto nel 2004 e soprattutto lontanissimo dall’ottenere i voti necessari per raggiungere la maggioranza assoluta dei seggi alle prossime elezioni politiche del 2015.

Antonio Costa, artefice di quella grande vittoria e ora sindaco di Lisbona, è l’unico, tra le figure di spicco del Ps a mostrare preoccupazione per un risultato molto al di sotto delle aspettative e per un partito che appare ai più sprovvisto di un vero progetto alternativo a quello del centro destra.

Che la sinistra europeista fatichi a riscuotere consensi lo si può anche vedere dal sensibile ridimensionamento del Bloco de Esquerda (Be), il partito che con maggiore convinzione ha appoggiato la candidatura di Alexis Tsipras alla presidenza delle Commissione Europea e ha fatto della democratizzazione delle istituzioni europee il suo principale cavallo di battaglia. Aveva preso il 10% nel 2009, il 5% alle legislative del 2011 e ora è ulteriormente sceso al 4,5%.

Certo non ha giovato la scissione “a destra” guidata da Rui Tavares, già eurodeputato del Be, che si è presentato con una sua lista di stampo verde-ecologista, il Livre, che ha sottratto un 2,5% dei voti, una parte dal Ps e un’altra dal Be.

Non stupisce quindi il risultato ampiamente positivo del Partido Comunista Português (Pcp) che, fin dagli inizi, si è mostrato contrario a qualsiasi cessione di porzioni di sovranità a Bruxelles. La voglia di recuperare integralmente la propria sovranità spiega solo in parte un balzo che porta dal 7,5%, ottenuto alle politiche del 2011, al 12,7% alle europee di quest’anno. Oggi il Pcp è un partito forte, coeso e, soprattutto, è riuscito, senza traumi o retoriche rottamatorie, a darsi una leadership nuova, giovane e dinamica.

Folgorante poi è il successo di un outsider, António Marinho Pinto, ex presidente dell’ordine degli Avvocati che, alla testa di un micropartito, il Partido da Terra, balza dal 0,67% al 7,1% e ottiene, grazie esclusivamente al suo carisma personale, un seggio al parlamento di Strasburgo.

In conclusione si può dire che la caporetto della destra lusitana c’è stata ma che l’emorragia di voti è stata comunque bloccata senza che si verificasse un collasso. La sinistra, globalmente intesa, è in decisa crescita (alle scorse politiche del 2011 era al 40, alle europee del 2009 al 47 ora è al 50%) ma è divisa in tre tronconi inassimilabili: quello formato dal Ps e da Livre (socialdemocrazia), il Be (sinistra critica) e il Pcp. I cosiddetti partiti mainstream, quelli che in questi decenni si sono avvicendati al governo- Ps, Psd e Cds/Pp – insieme ottengono meno del 60% (se compariamo con le precedenti elezioni europee c’è una perdita secca del 10%. -20% rispetto alle politiche del 2011).

I portoghesi sembrerebbero avere trasformato in un comportamento di voto coerente l’insoddisfazione che hanno espresso nei confronti del modo in cui funziona la democrazia (pari solo a quella dei bulgari e dei rumeni). Il dato non è entusiasmante, perché senza un progetto alternativo credibile e con le elezioni politiche alle porte l’orizzonte più probabile sembra quello di una grande coalizione tra i tre grandi sconfitti: Ps, Psd e Cds/Pp.