Sono appena 300 su un totale di 740mila in tutta Italia, le aziende agricole che dallo scorso 1 settembre hanno presentato istanza di iscrizione alla Rete del lavoro agricolo di qualità, l’organismo autonomo creato dai ministeri delle Politiche agricole e della Giustizia in collaborazione con l’Inps, «per rafforzare le iniziative di contrasto dei fenomeni di irregolarità e criticità che caratterizzano le condizioni di lavoro nel settore agricolo». I primi dati sono stati resi noti al termine della riunione della Cabina di Regia della Rete: 300 domande pervenute, 59 quelle esaminate. Di queste, 52 sono state ammesse mentre per le altre l’Inps sta istruendo le verifiche penali e amministrative nonché quelle della Direzione territoriale del lavoro relative alla regolarità dell’attività.

Dati che per il segretario nazionale della Uila Uil, Giorgio Carra, sono «soddisfacenti: esistono ancora delle problematiche tecniche e burocratiche da superare, ma nel complesso siamo soddisfatti del cammino intrapreso». Alla rete possono fare richiesta le imprese che non hanno riportato condanne penali e non hanno procedimenti penali in corso per violazioni della normativa in materia di lavoro e legislazione sociale e in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; che non sono state destinatarie, negli ultimi tre anni, di sanzioni amministrative definitive e in regola con il versamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi. Non ancora chiaro però, cosa accadrà alle aziende che sceglieranno di non aderire alla Rete: saranno controllate oppure continueranno ad agire in una sorta di zona d’ombra?

Sarà anche per questo che la Cabina riunitasi nella sede dell’Inps a Roma si è occupata anche della piaga del caporalato. Gli enti partecipanti hanno deciso di predisporre insieme una bozza di intervento per il contrasto al lavoro nero. Intanto però, mentre la Cabina è al lavoro, bisogna fare i conti con la realtà: che parla una lingua del tutto diversa rispetto a quella dei tavoli istituzionali. Per questo la procura di Foggia ha istituito un pool composto da due magistrati per indagare sul caporalato in agricoltura, sulle connessioni tra caporali e criminalità mafiosa e sui reati “spia” legati al fenomeno presente da decenni nelle campagne del Sud e pugliesi. Il pool, composto dai pm Dominga Petrilli e Francesco Diliso, sarà coordinato dal procuratore Leonardo Leone de Castris e avrà a disposizione trenta uomini della polizia giudiziaria. La zona della provincia di Foggia più tradizionalmente interessata dal caporalato è quella Sub garganica e di Cerignola, a maggiore vocazione agricola: in quest’area si è concentrata l’attenzione degli inquirenti e della polizia giudiziaria.

Proprio mercoledì nel capoluogo garganico sono scesi in strada in 400 per ricordare Mamoudou Sare, il bracciante 37enne originario del Burkina Faso, ucciso a fucilate nelle campagne di Lucera lo scorso 21 settembre. I partecipanti, provenienti da tutta Italia, erano per lo più compagni di Mamoudou con il quale vivevano nel “Grande Ghetto” di Rignano Garganico: alla testa del corteo uno striscione che recitava: «Senza giustizia nessuna pace, Foggia è una città meticcia e antirazzista». «Si può morire per un melone?» la domanda senza risposta dei tanti braccianti presenti al corteo. La procura è al lavoro per fare luce sui fatti dello scorso 21 settembre, che al momento vede indagati per omicidio volontario e concorso in tentato omicidio volontario e porto illegale di armi, Ferdinando Piacente di 67 anni e il figlio Raffaele di 27. È invece uscito dall’ospedale l’altro compagno di Mamudou, Kadago Adam, che però convivrà per tutta la vita con una cartuccia conficcata nel petto.