In Svizzera, paese tradizionalmente sensibile al mondo dell’arte e alla produzione artistica che da sempre vengono sostenuti con investimenti pubblici e privati, Locarno non è sullo stesso piano di Basilea, Zurigo e Ginevra. Ma da alcuni anni la cittadina ticinese ha ridotto il gap con interventi imprenditoriali, iniziative culturali e nuovi spazi che anche ad agosto durante il Festival internazionale del Film, propongono mostre e performance interessanti per le quali molti festivalieri interrompono volentieri le maratone cinematografiche.

Dopo la pinacoteca comunale Casa Rusca e il Rivellino, l’ultima galleria che da tre anni ha incrementato le possibilità locarnesi d’inserirsi nei circuiti artistici internazionali è la Ghisla Art Collection situata nei pressi di Piazza Grande. Lo spazio aperto dai coniugi Ghisla quest’anno ha puntato su una doppia esposizione. La prima propone una selezione delle opere collezionate nel corso di quattro decenni con un viaggio attraverso i lavori dei principali interpreti dell’arte moderna e contemporanea, da Basquiat a Miró, da Magritte a Haring, da Fontana a Picasso. La seconda invece è un’insolita e affascinante mostra che fino a novembre dà la possibilità di entrare in una dimensione artistica che sfida il concetto tradizionale di museo/galleria come contenitore di opere, come spazio asettico e neutrale e rimette in gioco l’abituale percezione di quadri e sculture esposti. Museum to scale 1/7, nata da un progetto dell’architetto Wesley Meuris e realizzata dal gallerista, collezionista e studioso di arte belga Ronny Van de Velde, s’inscrive in qualche modo nella tradizione artistica postmoderna ma la sua particolarità però è che la messa in discussione relativistica del modello unico classico/moderno in questo caso riguarda il contenitore più che il contenuto.

L’idea che ha ispirato l’allestimento è quella di costruire un museo in scala con soli artisti belgi, da quelli celebri a livello internazionale agli esordienti, per far conoscere l’arte belga contemporanea. A più di 100 artisti dopo aver dato loro una scatola di dimensioni 100x650x600 mm, è stato chiesto di rappresentarsi o di allestire una sala in miniatura con un’opera originale. Il progetto in totale ha prodotto 125 scatole ma per motivi di spazio la Ghisla ne ha potuto accogliere solo 85. Ci si trova al cospetto di un capolavoro di allestimento per come si è riusciti a ricreare con perizia all’interno di scatole in scala 1/7, sale di un museo di opere miniaturizzate, dipinti, sculture, installazioni. Visitando questa «wunderkammer» d’arte contemporanea si ha un’insolita reazione e si provano strane sensazioni.

Passando da una minisala all’altra, si scoprono i contenuti e i dettagli delle riproduzioni in scala, si guarda, si scruta e sostando davanti alle scatole si ha anche l’impressione di possedere le opere esposte. E le loro minuscole dimensioni non possono non richiamare immediatamente il mondo lillipuziano creato da Swift nei Viaggi di Gulliver, poi magari si pensa all’esempio più famoso dell’arte concettuale, quello di Duchamp con La Boîte-en-valise che ancora oggi è oggetto di stupore e ci si abbandona alle suggestioni teoriche del fondamentale testo di Arnheim Arte e percezione visiva. Tra le tante creazioni in miniatura Simbolismo di Mellery Xavier, Avant-Garde, una guache e otto disegni, Positivi su vetro di Jozef Perters, Last Words delusion su fili di rame, la stanza della percezione, una ventola che produce strani effetti.

In macroscopico contrasto con le miniature, il bellissimo catalogo della mostra curato dallo stesso Van de Velde pesa ben 3,6 kg e misura 44×68, un centinaio di pagine con testi critici e tante foto, un volumone fondamentale a corredo della mostra «inscatolata».Ad arricchire l’offerta artistica in quest’estate locarnese anche la famosa Pasticceria Marnin situata nella città vecchia, luogo che catalizza non solo i golosi ma anche chi nel travolgente turismo di massa prevalentemente tedesco cerca qualche evento culturale, ha ospitato un’interessante mostra allestita nella tea-room.

Fra le mani di Janas del pittore sardo Renzo Ugas ha per oggetto la mitica simbologia degli arazzi sardi dipinti su tela. La fata Janas, figura simbolica, mitologica ed enigmatica alla quale Ugas dà un volto e un corpo, con le sembianze di una donna sarda, diventa il motivo ricorrente degli arazzi esposti. I colori pastello sfumati e le immagini ataviche di un mondo naturale e non sempre visibile restituiscono gli echi culturali della terra del pittore.