Dedicato a quello che Homer Simpson chiama l’American dream, e cioè ammazzare il proprio datore di lavoro, Come ammazzare il capo (2011) era una specie versione contemporanea (anche se molto più volgare e molto meno affilata) delle commedie hollywodiane della grande Depressione: un prodotto da studio, animato però da una sana irriverenza anticapitalista, in cui il regista Seth Gordon, pur con uno stile visivo completamente piatto, dimostrava una certa sensibilità per le vicissitudini tragicomiche dell’America blue collar, su cui sarebbe tornato, due anni dopo, con un altro successo piuttosto interessante, Io sono tu.

Il sequel di quel suo primo trionfo di botteghino, diretto da Sean Anders su sceneggiatura di John Morris, Jonathan Goldstein e John Francis Daley, purtroppo, sembra riflettere meno una genuina sintonia con lo spirito del tempo che il banale desiderio di replicare l’incasso senza troppo sforzo. All’inizio del film ritroviamo Nick (Jason Bateman), Kurt (Jason Sudeikis) e Dale (Charlie Day) che, anche senza portare a compimento il triplo omicidio inizialmente previsto in «1», sono finalmente riusciti a liberarsi dei loro boss e mettersi in proprio – la loro chance al sogno americano incarnata da un’implausibile doccia portatile che si chiama Shower Buddy. Quando Ernest Bert Hanson (Christoph Waltz), conquistato dall’invenzione, promette, in cambio dei diritti di distribuirla, di investire 3 milioni di dollari nella produzione delle prime 100.000 docce, i tre amici pensano di avercela fatta.

Ma, ci ricorda il film, capitalisti si nasce, non si diventa, e i tre si trovano sull’orlo della miseria quando Hanson cancella improvvisamente l’ordine con l’obbiettivo di acquistare all’asta, e a prezzo stracciato, tutte le docce, una volta che Nick, Kurt e Jason hanno dichiarato il fallimento. A mali estremi, estremi rimedi…e, come nel primo film, vittime di un ennesimo abuso dell’ uno percento, i nostri eroi del novantanove percento decidono di ricorrere alla criminalità, così rapiscono il figlio di Hanson (Chris Pine, simpaticamente fuori personaggio nel ruolo di un playboy biondo e cafonissimo) per poi chiedere il riscatto.

Purtroppo per loro, nel mondo di Come ammazzare il capo (1 e 2) persino il crimine richiede un certo talento naturale….. (che abbonda tra i ricchi). Oltre a Bateman Sudeikis e Day, tornano dal primo film per brevi apparizioni la dentista ninfomane Jennifer Aniston, il delinquente per finta Jamie Fox e, dietro alle sbarre, il capufficio più cattivo di tutti Kevin Spacey. Ma la satira sociale dell’originale, e l’ombra di autentica cattiveria che portava con sé, vengono prevaricata da una successione di gag volgarissime quanto poco memorabili. Il risultato, come gran parte delle commedie da studio in cui si sprecano attori di talento come qui, è meno un gesto sovversivo che di svacco. Commedie come questa, o la molto migliore The Interview, non sono brutte perché fanno appello agli istinti più bassi del pubblico, ma perché lo fanno in modo inetto. Anche offendere, al cinema, implica una certa arte.