L’exuvia è la muta dell’insetto, ovvero ciò che rimane del suo corpo dopo aver sviluppato un cambiamento. Exuvia (Polydor/Universal) – in uscita oggi – è anche il titolo dell’ottavo album di Caparezza. «Il più difficile, non lo nascondo. Anche perché trovare argomenti nuovi non è semplice. E poi non mi interessa portare all’orecchio dell’ascoltatore dischi belli, piuttosto quelli che hanno anima e sentimento». E così Exuvia diventa quasi una viaggio nell’inconscio, un seguito del precedessore Prisoners 709, dove il protagonista fuggiva dal suo stato mentale. Ora è libero di fuggire in un bosco immaginario – riprodotto dal rapper di Molfetta in un video in 3D che racconta la genesi dell’opera: «Ho iniziato a scrivere i brani dopo aver letto Il viaggio di G. Mastorna, la sceneggiatura di un film che Fellini non ha mai girato. Il libro racconta di un aldilà in cui regna disordine e confusione. Il protagonista, Mastorna, non capisce di essere morto e quantomeno non lo accetta e questo gli rende insopportabile la nuova condizione di anima (in pena). Ecco, io sto vivendo una sensazione simile perché molte cose intorno a me hanno subito cambiamenti drastici. O forse perché sono cambiato io».

UN DISCO COMPLESSO, anche musicalmente: molti suoni sintetizzati, riferimenti al progressive, campionamenti inusuali – su Canthology il ritornello riprende un vecchio brano dei Droogs. Un progetto inclassificabile: «Ho sempre fatto cose inconsuete, non ho mai voluto seguire mode. Dipende dal fatto che sono sempre stato un grande consumatore di musica, anche in maniera disordinata senza fossilizzarmi su un genere particolare e questo ha creato un caos compositivo, forse positivo. Io sono così, ogni volta che mi incasello da qualche parte mi smarco, non ho voglia di restare fermo nello stesso posto. Mi muovo nel bosco, fuggo…».

Paradossi e metafore sono al centro del disco: La certa ha come protagonista la morte vista con accezione positiva, quasi una sorta di motivatrice per una vita che senza la certezza della fine sarebbe il trionfo dell’apatia e della depressione: «Mi vedi come la cattiva, la tenebra, la maldita, la dea che fa la bandita ma voglio solo schiodarti dalla panchina, voglio vederti giocare la partita: «La sensazione di inadeguatezza che provo in questi anni – è arrivata ben prima della pandemia. Il disco la racconta: entrare dentro una foresta e non sapere esattamente dove si sta andando, godersi le cose belle ma soprattutto le cose spiacevoli che ti accadono è la grande novità di questo lavoro. C’è dentro tanto cinema, Fellini, Bergman, citazioni letterarie forse più che in altri miei dischi. La certa, però non è un brano pessimista: è assolutamente positivo. Tutte le figure rappresentate nei testi sono ribaltate, un gioco di specchi e rimandi».

UNO DEGLI ELEMENTI dell’album è la stasi, il limbo: in La scelta Caparezza mette in scena un dialogo immaginario fra Beethoven e Mark Hollis, il leader dei Talk Talk scomparso nel 2019: «Un grande artista che a un certo punto della sua vita ha abbandonato i lustrini dello spettacolo nel pieno della sua ascesa, dedicandosi sempre più di rado alla carriera discografica». Nel bosco immaginario, il rapper di Molfetta fa i conti anche con il passato: El Sendero è un percorso popolato di padri e avi: «Il fil rouge è la mia famiglia, mio nonno che ha fatto la guerra a 19 anni e ha perso tutto, mio padre che ha dovuto abbandonare il sogno di diventare artista perché la vita è stata amara con lui: è entrato in fabbrica e la storia è stata un’altra. La sua vicenda mi ha molto condizionato anche per la scelta che ho fatto in passato di seguire certe categorie sociali, io sono quello che più di tutti della mia famiglia è riuscito a realizzare una personale ambizione. Ma i miei parenti quando affrontano un problema lo affrontano di petto, hanno una corazza dettata dall’esperienza della vita, dall’essersi incamminati in un sentiero che prevede l’allegria ma anche e soprattutto il dolore. Loro hanno sperimentato entrambe le cose, forse sbilanciate, ma nei loro occhi c’è un’esistenza che sento di non aver sperimentato a fondo. Un po’ come tutti gli artisti che vivono congelati in questa bolla, il tempo passa, tutto sembra andare bene, e non te ne accorgi».

LE PERSONE che difendeva Caparezza spesso sono finite dall’altra parte della barricata: «Noi vorremmo che tutto restasse congelato nel periodo idealmente migliore della nostra esistenza, e come al solito arriva la vita a sparigliare le carte. Così ti chiedi come è possibile sentire discorsi razzisti da persone del sud che io ho difeso. A volte intorno a me vedo molta superficialità». E mentre sostiene il collega Fedez: «Credo che le sue parole siano condivisibili, anzi sono sorpreso che abbiano suscitato tanto clamore», pensa che non sia più tempo di cartelli e hashtag sui social: «Bisogna agire alle fotografie su facebook preferisco i bauli in piazza. Io sono impegnato in Scena unita».