Cinquantadue anni di storia svenduti sotto banco. La dismissione del capannone sindacale di Marghera da Eni al comune di Venezia guidato da quel condensato di destra e populismo che è Luigi Brugnaro ha risvegliato la reazione operaia nella ex capitale della chimica italiana. Da giovedì, giorno in cui la delibera comunale è stata approvata, centinaia di operai, sindacalisti e studenti hanno deciso di occupare giorno e notte lo storico capannone sindacale di Marghera.

Nel 1970, stanca delle continue manifestazioni, presidi e proteste per strada e davanti gli stabilimenti, l’Eni decise di costruire un capannone per le assemblee sindacali: trecento posti a sedere più due sale sindacali, un ulteriore spazio interno ed esterno. Da quel giorno il «capanon» è diventato una certezza per tutta la classe operaia, accompagnando anche i momenti più cupi come l’assassinio dell’ingegner Taliercio per mano delle Br, ricordata dallo striscione ancora presente: «I nazisti delle Brigate Rosse hanno assassinato Taliercio, i lavoratori del Petrolchimico contro il terrorismo».

«Mezzo secolo di storia: ogni assemblea, congresso o manifestazione ha lì la sua casa naturale. E in questi anni parecchi pittori e fotografi hanno donato le loro opere alle Rsu di Marghera o alla Cgil stessa», spiega Daniele Giordano, segretario della Fp Cgil Venezia, in prima fila nella scelta dell’occupazione.

I quadri però hanno fatto parte del pacchetto che Eni ha deciso di mettere in vendita, rivolgendosi subito al sindaco Brugnaro. «Appena saputa la notizia abbiamo inviato tre richieste di incontro, tutte senza risposta», continua Giordano.

Mentre l’opposizione di centro sinistra chiedeva di «garantire la continuazione delle attività sindacali», la maggioranza comunale previsto solo «un percorso partecipato» senza alcuna specifica. E tutto a vendita già effettuata – dopo l’approvazione di giovedì il rogito sarà a giorni: 3.900 euro di prezzo simbolico e 300 mila euro di investimenti in lavori con il passaggio catastale da capannone industriale a uso civile.

«Noi invece chiedevamo un Protocollo preciso: certo non siamo i proprietari del capannone, ma è casa nostra da 52 anni. Abbiamo installato un megaschermo nel capannone per assistere al consiglio che Brugnaro fa tenere ancora in remoto. Appena è arrivato il Sì abbiamo occupato perché c’è il rischio che Eni ci blocchi l’ingresso e non ci faccia più entrare. Si è parlato di farne perfino un museo ma noi vorremmo continuarla la storia operaia di Marghera, non commemorarla come fosse finita», attacca Giordano.

La storia del capannone sindacale del petrolchimico di Marghera è in parallelo con la sua dismissione industriale. I lavoratori nel comprensorio sono passati dai 60 mila degli anni settanta ai soli 12 mila attuali.

Proprio in questi giorni Eni Versalis sta fermando l’ultimo segmento della chimica di base rimasto. Si tratta degli impianti di cracking, le cosiddette «torce», le enormi ciminiere sovrastate da fiamme continue create dai residui delle lavorazioni, che dominano il panorama di Marghera da decenni. Una chiusura che mette a rischio 400 posti di lavoro tra diretti e in appalto.

Una chiusura che lunedì 9 ha portato a un riuscito sciopero anche a Mantova, Ravenna e Ferrara, città che dipendono dalle attività fatte a Marghera da Eni. «Siamo davanti ad una doppia dismissione – commenta Davide Camuccio, segretario Filctem Cgil Venezia – : da una parte una produzione fondamentale per tutta l’industria chimica e dall’altra la privazione della discussione e della cultura operaia».

Ieri sera dibattito con Sergio Cofferati (chimico di formazione), Francesca Re David, neo segretaria confederale della Cgil, e il regista Andrea Segre, autore di «Welcome Venice» che descrive anche la parabola di Marghera. È la prima iniziativa di una lunga mobilitazione: domani assemblea dei delegati con l’altro segretario confederale Emilio Miceli.

«Eni ha deciso di chiudere e non ci sono progetti concreti. Il rischio per l’intera area di Venezia è la monocultura del turismo: o vivi di quello o non vivi. Noi invece proponiamo, con altre realtà, di fare di Marghera un esperimento di riconversione ecologica a livello europeo: prima bonificando una delle aree più inquinate del paese e poi rilanciandola a partire da un progetto di parco fotovoltaico», conclude Giordano.