Di Maio ha voluto chiamarlo decreto Semplificazioni ma sta avendo una sorte parecchio complicata. Rischiava persino di decadere, dopo che Lega e 5 Stelle erano arrivati a uno scontro sulle trivellazioni in mare, poi risolto con un compromesso che lascia le cose più o meno come sono ma consente ai due partiti di dire di aver avuto ragione. Ieri il testo ha dovuto subire una pesante amputazione. Da decreto «ombibus» è diventato un decreto «a contenuto plurimo», sfumatura lessicale che ha però un effetto decisivo. Il testo uscito dalle commissioni non avrebbe passato l’esame del Quirinale per la promulgazione. Il testo amputato può andare avanti e anzi deve correre, visto che solo oggi arriverà al voto dell’aula del senato e poi la camera avrà pochissimo tempo per convertirlo definitivamente in legge. I sessanta giorni scadono infatti il 12 febbraio.

La presidente del senato Elisabetta Alberti Casellati è dovuta intervenire di fronte agli avvertimenti degli uffici del Colle. Il decreto originariamente previsto per «disposizioni urgenti di sostegno e semplificazione per le imprese e la pubblica amministrazione», composto di undici articoli normativi, si era espanso con l’approvazione di 85 emendamenti di maggioranza. La Costituzione dispone invece che la legge di conversione sia strettamente attinente al merito del decreto che (malgrado l’abuso invalso da anni) resta uno strumento urgente per casi eccezionali in quanto affida al governo il potere legislativo che è proprio delle camere. Successive sentenze della Corte costituzionale hanno prescritto contenuti omogenei o una stretta coerenza tra le norme contenute nel decreto.

Il rischio altrimenti è quello di mettere in difficoltà il presidente della Repubblica, che ha firmato il decreto originario per la sua entrata in vigore e che deve successivamente firmare la legge di conversione per promulgarla: i due testi non possono essere troppo distanti. La Corte lo ha detto da ultimo in due sentenze (la 22 del 2012 e la 32 del 2014) redatte quando Sergio Mattarella faceva parte del collegio dei giudici costituzionali. Una di queste sentenze (quella del 2014) è stata richiamata nello speech della presidente Casellati con il quale ha comunicato lo stralcio – si tratta della sentenza che ha cancellato la legge Fini-Giovanardi sulle droghe proprio perché era stata inserita in fase di conversione di un decreto sulle… Olimpiadi.

Il vaglio degli uffici del senato non è stato neanche troppo severo per venire incontro alle esigenze politiche dei due partiti di governo. Si sono salvati così circa 23 emendamenti su 85 approvati in commissione. Sulle trivellazioni in mare resta la sospensione di 18 mesi a nuove autorizzazioni di ricerca, così come restano in piedi le autorizzazioni all’estrazione anche in proroga. Passa la correzione alla legge di bilancio sul no profit: l’Ires torna al 12% così come chiesto proprio da Mattarella nel discorso di capodanno. Restano le norme che limitano l’attività dei Noleggi con conducente, gli autisti ieri hanno lungamente protestato davanti al senato. Resta il finanziamento di 10 milioni per le vittime di Rigopiano, la rottamazione ter delle cartelle esattoriali, l’obbligo di indicare’origine delle materie prime nelle etichette alimentari e altro ancora. Come si vede neanche in questo caso si tratta di provvedimenti strettamente connessi agli undici articoli originali del decreto. Che si occupa di sostegno alle piccole e media imprese creditrici della pubblica amministrazione, Alitalia, agevolazioni negli appalti, tracciabilità dei rifiuti, edilizia carceraria, assunzioni di medici e dirigenti scolastici. La «necessaria coerenza» tra gli emendamenti e il decreto to originario è stata rintracciata non nelle materia ma nella «finalità», cioè nel fatto che sono considerati provvedimenti urgenti.

Tra quelli esclusi la proroga della sospensione delle tasse per chi ha subito danni nel crollo del ponte Morandi a Genova, gli sconti sulla Rc auto, la correzione della web tax introdotta con la manovra, lo stop alla concentrazione delle farmacie, le misure draconiane per combattere la Xylella (che non voleva Grillo) e lo stanziamento per le divise della polizia (33,5 milioni in sette anni che voleva Salvini). Il primo risultato è che la commissione ha lavorato invano approvando oltre 60 emendamenti che si potevano già precedentemente dichiarare inammissibili. La seconda è che la camera dovrà approvare la legge senza poterla emendare, prevedibilmente con la fiducia. Cosa che è stata anche questa censurata dalla Corte costituzionale, appena qualche settimana fa.