La testata americana «Variety» la definisce «la domanda da un miliardo di dollari»: quando – e come – potranno ripartire le produzioni hollywoodiane – e non solo? Il mese scorso, su richiesta del governatore dello stato di New York Andrew Cuomo, è nata una task force di 50 membri incaricata di stilare un report con le linee guida di base per la riapertura, messa insieme dal comitato che si occupa di sicurezza sui set, e di cui fanno parte anche i rappresentanti delle produzioni cinematografiche e televisive e i sindacati di settore dello spettacolo: da quello degli attori (Sag-Afra) a quello di tecnici e artigiani (Iatse). E da tempo anche la Directors Guild of America ha incaricato una squadra (guidata da Steven Soderbergh) di studiare le migliori condizioni per la riapertura dei set. Mercoledì scorso però il governatore della California Gavin Newsom – l’altro principale destinatario del report, dato che è a capo dello stato dove si trova Hollywood – ha annunciato che il 25 maggio verranno comunicate le linee guida per far ripartire i set cinematografici e televisivi, prima ancora di aver ricevuto il rapporto ufficiale della task force, che avrebbe dovuto fornire proprio lo schema di base per la ripartenza.

LA RAGIONE di questa mossa potrebbe essere il caos che si cela dietro il report stesso: giovedì «Indiewire» ha pubblicato degli stralci della versione provvisoria del documento, che ha inasprito lo scontro fra i rappresentanti dell’industria e dei sindacati, tardandone la pubblicazione e gettando luce sul fatto che ogni associazione di categoria sta consultando degli esperti e stilando il proprio report, protraendo i lavori potenzialmente all’infinito. Fra le misure indicate dalla task force, e trapelate con l’articolo di «Indiewire», c’è il tampone obbligatorio per tutte le persone coinvolte nella produzione entro due o tre giorni prima che cominci, la revisione degli orari di lavoro per fare in modo che ci siano delle pause per sanificare i set, lo scouting virtuale delle location, la presenza di un supervisore che vigili sul rispetto delle norme sanitarie, il monitoramento giornaliero della salute dei lavoratori. E naturalmente il distanziamento – laddove possibile, nel caso di scene di sesso agli attori verrà fatto il tampone prima di girarle – che impone squadre di lavoro più ristrette.

UN PUNTO centrale perché dietro questi annunci incrociati, proliferazione di documenti e ricerche – a cui si aggiunge anche Netflix che ha sviluppato le proprie linee guida, e che era l’unico studio di primo piano seduto insieme a Newsom all’incontro con i rappresentanti dell’industria – non si nasconde solo la confusione del mondo del cinema statunitense davanti alla ripartenza e alle misure di sicurezza, ma una questione molto più pericolosa. Il rischio cioè che vengano sacrificati molti posti di lavoro, e peggio ancora che le produzioni approfittino della situazione per ridurre le troupe – giustificandosi con la necessità di limitare gli assembramenti.

NELLA BOZZA pubblicata da «Indiewire» viene infatti più volte raccomandato di ridurre il personale sui set, un linguaggio vago che secondo le fonti interne alla task force sentite dalla testata diventerà stringente nella sua versione definitiva – mentre non viene mai fatta menzione di tutele nei confronti di chi per motivi di salute propri o familiari dovrà abbandonare il set. Per questo i sindacati sono agguerriti, nel tentativo di salvaguardare i posti di lavoro in bilico dietro un linguaggio burocratico e «sanificato» – mentre la domanda da un miliardo di dollari resta per ora senza risposta.