Ci si aspettava la proposta di una nuova legge elettorale prospettata da un pezzo di Pd, la minoranza bersaniana, per correggere quella messa a punto da un altro pezzo di Pd, anzi dal suo onnipotente capo in persona. Si è abbondato in grazia e di proposte ne sono arrivate due: anche la terza proviene, chi l’avrebbe mai detto, da un pezzo del Pd, quello che fa capo al presidente del partito e oggi strettissimo alleato di Renzi Matteo Orfini.

Un certo stupore è lecito anzi inevitabile: nell’ultima direzione, infatti, era stato proprio Orfini a blindare l’Italicum mitragliando quell’altro pezzo di Pd, guidato da Dario Franceschini, che voleva modificare la legge elettorale, però con una versione che non corrisponde a nessuna delle due squadernate ieri e che pertanto costituisce la quarta ipotesi partorita dal Pd nelle ultime settimane. Babele, al confronto, era un modello di comune e universale linguaggio.
Al sodo, il modello presentato ieri in conferenza stampa dalla minoranza ripristina il Mattarellum, in vigore tra il 1994 e il 2005 ma restaurato con un premio di maggioranza di 90 seggi, pari al 14% del totale, alla lista o alla coalizione che conquista col maggioritario più collegi.

A differenza dell’Italicum il premio non garantisce qui la maggioranza dei seggi, e in ogni caso sarebbe fissata per legge l’impossibilità di superare i 350 seggi. Ci sarebbe poi un “premietto” di minoranza di 30 seggi per i secondi arrivati e 23 seggi sarebbero riservati, come diritto di tribuna, alle liste che comunque superano 2%.

«Anche Renzi – afferma Speranza – ha detto che decide il parlamento. Non voglio far cadere queste parole, lo spirito di questa proposta non è maggioranza contro minoranza». E’ certamente vero, ma è anche vero che la proposta spezza la linearità del disegno renziano in due punti chiave. Non offre certezza di «sapere chi ha vinto la sera delle elezioni» e soprattutto riapre, anzi spalanca le porte alle coalizioni, dal momento che il maggioritario di collegio se non rende obbligatorie le alleanze poco ci manca.

L’idea di Matteo Orfini è molto più rozza e discutibile. L’Italicum resterebbe immutato, con tanto di abnorme premio di maggioranza: che però andrebbe assegnato a turno unico, cioè al meglio piazzato senza ballottaggio. Il principale limite della legge elettorale di Renzi, già approvata dal parlamento, è che assegna un potere del tutto sproporzionato a liste che al primo turno possono anche ottenere un consenso molto limitato.

La risposta è sempre stata che poco importa, dal momento che a far fede del consenso democratico ci sarebbe il ballottaggio. E’ una foglia di fico, ma per quel geniaccio del peggior allievo di D’Alema è già troppo. Turno unico, che in un sistema tripolare rende praticamente certa l’assegnazione di poteri quasi assoluti a forze intorno al 30% dei consensi nella migliore delle ipotesi, e non se ne parli più. Brillante.

La logica di Orfini è sfacciata, modificare la legge in modo da ostacolare l’M5S. Ma anche la proposta della minoranza Pd, decisamente più articolata, punta su questo elemento per raccogliere consensi. C’è peraltro un elemento apparentemente assurdo in tutta la vicenda. Nessuno pensa di modificare l’Italicum prima del referendum. Ma se Renzi vincerà quella prova, toccare la legge sarà fuori discussione.