Il giorno dopo il vertice che ha riunito a Berlino 11 dirigenti politici internazionali implicati nella grave crisi della Libia, l’Unione europea cerca di prendere posizione andando oltre le divisioni che l’attraversano (tra schieramento a favore di uno o dell’altro rivale in Libia, oppure indifferenza), per consolidare un ritorno dell’Europa nel gioco geopolitico (e petrolifero) in corso sulla sponda sud del Mediterraneo, scalzata ultimamente dall’interventismo di Russia e Turchia, anche per evitare di avere una nuova Siria alle porte.

IL DOCUMENTO USCITO da Berlino prevede l’impegno a rinunciare a interferenze nel conflitto armato o negli affari interni della Libia, promette il rispetto dell’embargo sulla vendita di armi e di contribuire a consolidare la tregua.

Domenica sera, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen e l’Alto Rappresentante Josep Borrell hanno pubblicato una dichiarazione comune, dove sottolineano che i «partner regionali e internazionali più influenti,» riuniti a Berlino, «si sono messi d’accordo su 55 punti», tra cui quello di un «controllo periodico permanente rapido» da mettere in atto, sotto l’egida dell’Onu. Russia e Turchia sarebbero a favore di una forza d’interposizione, che consoliderebbe la loro posizione ottenuta, pur schierandosi su fronti opposti, con le ultime manovre. Invece, la Ue preferisce un più elastico meccanismo di sorveglianza. È in questo contesto che è tornata al centro di discussione la missione Sophia, la prima operazione di sicurezza Ue varata nel 2015 nel Mediterrano e poi congelata dal governo italiano Lega-5Stelle, che la considerava uno strumento per salvare i migranti e farli sbarcare in Italia, benché la guida fosse italiana.

ORA LA UE PENSA di rianimare Sophia, per vigilare il rispetto dell’embargo sulle armi alla Libia. Il ministro Di Maio frena con tutta la sua forza: «può essere punto di partenza, ma è chiaro che va smontata e rimontata», perché, afferma, non deve servire «per salvare migranti e tanto meno per sbarcare in Italia».

Ma la Ue ha fretta. Sul ritorno di Sophia la discussione riprenderà al prossimo consiglio Affari esteri, il 17 febbraio, poi la decisione passerà al Consiglio europeo di marzo.

Borrell propone una «revisione di Sophia per vigilare sul traffico d’armi», perché questa è la sua missione, ricorda l’Alto Rappresentante, «anche se in Italia tutti pensano che serva a salvare i migranti». Il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, rilancia il ruolo ritrovato a Berlino dalla Ue – «anche la Ue deve prendersi le sue responsabilità» – e sottolinea il legame con la questione dei migranti: «è contraddittorio criticare come disumane le condizioni dei campi profughi in Libia e poi permettere che delle persone vengano riportate proprio lì».

IL MINISTRO FRANCESE, Jean-Yves Le Drian precisa: «i ministri degli Esteri europei hanno dato mandato a Borrell di trovare una soluzione concreta nel più breve tempo possibile». Il lussemburghese Jean Asselborn, che si era scontrato a distanza con Salvini, aggiunge: «Sophia è stata distrutta e abbandonata sotto il signor Salvini, che adesso non c’è più» e ripete quello che ha detto Maas: «non possiamo dire che la situazione nei campi libici è catastrofica e poi mandare gente in quegli stessi campi».

Ma il suo governo precisa che il Lussemburgo è contrario a un’operazione di peace-keeping. Svezia e Austria sono sulla stessa linea: no a una forza di interposizione, ma resta aperto il ripristino di Sophia come operazione di sorveglianza sull’embargo, sempre che dei paesi membri inviino delle navi, cosa che era stata bloccata nel passato.