Il portone del Mef chiuso in faccia ai lavoratori Alitalia, nel corso di un sit-in dei sindacati di base in via XX Settembre, è uno di quei gesti simbolici destinati a incancrenire ancor di più una vertenza ben lontana dal chiudersi. “Con Bruxelles è in corso oggettivamente un braccio di ferro”, aveva del resto avvertito Giancarlo Giorgetti, intervenendo domenica alla Scuola politica della Lega.
Parole profetiche, a giudicare dall’ultimo messaggio dell’esecutivo Ue al governo italiano: “La soluzione non è dietro l’angolo, e restano ancora alcuni nodi da sciogliere sul brand, il trasferimento degli asset e la cessione degli slot”. La Commissione, spiegano informalmente dagli uffici della commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager, vuole valutare il pacchetto proposto dall’Italia nel suo insieme, e si aspetta che la cessione degli slot sia proporzionale al ridimensionamento della flotta e del personale. Inoltre c’è da discutere anche sul fronte della discontinuità del perimetro aziendale della newco Ita rispetto alla compagnia attuale.
Quanto agli aiuti di Stato, la questione è così calda da portare a una dichiarazione di un portavoce di Bruxelles: “La Commissione ha applicato la stessa valutazione fatta per Alitalia ad altre compagnie nella stessa situazione (in perdita, ndr), comprese Corsair e Tap. Al contrario, Air France e Lufthansa non erano in difficoltà a fine 2019. Ed hanno dovuto cedere slot dove avevano una presenza significativa, per garantire una concorrenza effettiva”. Mentre per Alitalia, viene ribadito, si tratta di dimostrare la discontinuità economica tra vecchia e nuova compagnia.
Le giustificazioni dell’Ue non convincono però Usb, Cub & c.: “Leggendo le delibere della Commissione – puntualizza Antonio Amoroso dei Cub – si trova che entrambi gli interventi sono stati autorizzati ai sensi del Trattato sul funzionamento dell’Ue, e ai sensi della Comunicazione del 20 marzo 2020 sugli aiuti di Stato nell’emergenza Covid-19. Questa normativa, senza escludere le aziende in amministrazione straordinaria, dichiara che gli aiuti servono a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali, o per porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno Stato membro. La normativa inoltre prevede che gli aiuti siano pari alle perdite stimate per il 2020, che nel caso di Alitalia sono di 900 milioni. Molto meno dei ristori percepiti, 295 milioni”. “Draghi – domanda infine Amoroso – si è chiesto il motivo per cui Vestager, nonostante questa norma, imponga una sua libera interpretazione con cui, guarda caso, penalizza Alitalia?”.
Per certo le richieste dell’Ue porterebbero, nell’ordine, a una newco che nascerebbe con un altro marchio e dovrebbe rinunciare anche al codice Az. Un taglio che, secondo gli esperti, potrebbe costare fino a 500 milioni fra mancate entrate e spese di marketing. Poi a dimezzare gli slot su Linate, cedendo gli altri ai concorrenti. Infine ad una compagnia molto piccola di soli 45 aerei, con al massimo 3.500 addetti nel settore aviation, con i servizi a terra di Fiumicino (oltre 3mila addetti) e la manutenzione (un migliaio) venduti dai commissari, per un totale di 7.500 “esuberi”. Uno scenario che anche gli apostoli del “libero mercato”, che rimarcano sempre i 12 miliardi pubblici spesi per tenere la compagnia a galla e i tanti anni di cig dei lavoratori, giudicano senza prospettiva alcuna. Se non quella di finire rapidamente in bocca ai big player continentali. E oggi il caso Alitalia arriva in Parlamento, con i confederali chiamati dalle commissioni riunite di Trasporti e Attività produttive.