Risalendo il mar Nero il fiume Dnepr raggiunge Kiev, ed è qui che probabilmente si trova una delle chiavi per interpretare la crisi di queste ore tra Russia e Ucraina. Il caos economico e sociale ucraino è arrivato a un punto di svolta. In questi giorni dopo che la Ue aveva stanziato un altro miliardo di euro di aiuti, il Fmi ha versato un’altra tranche di 1,9 miliardi di dollari del maxi prestito di 19,5 miliardi di dollari concessi nel 2015, nelle prostrate casse di Kiev. Nessuno si illude che questa pioggia di denaro possa risolvere qualcosa, ma per il momento evita il default e garantisce il riscaldamento nelle abitazioni di un popolo prostrato il cui reddito medio raggiunge a malapena i 200 dollari al mese.

NEL FRATTEMPO già da qualche tempo si affilano i coltelli della disputa delle presidenziali che si terranno il 31 marzo. A patto che si tengano, visto che lo stato di guerra che intenderebbe introdurre il presidente Petr Poroshenko prevede la possibilità che «il voto venga rimandato a data da destinarsi». L’accelerazione della disputo con Mosca, secondo alcuni «ucrainologi» sarebbe da rimandare alla volontà di Poroshenko di posticipare sine die il voto. Il presidente in carica è arrivato prostrato al termine del mandato: corruzione generalizzata e crisi economica lo condannano nei più recenti sondaggi a un misero 9,2% delle preferenze.

E il recente scandalo sollevato da alcuni giornalisti che documenterebbe sue attività criminali in Moldavia negli anni ’90 e perfino l’omicidio del fratello, non lo stanno certo aiutando a recuperare posizioni. Anche per questo non è scontato che la Rada, il parlamento ucraino, in queste ore approvi lo stato di guerra o lo approvi solo a condizione di non posticipare il voto.

SÌ PERCHÉ la crisi in corso potrebbe essere un serio ostacolo alla vittoria di Yulia Timoshenko. Data a un brillante 21,8% che la pone in cima ai sondaggi, l’ex premier viene vista come la capofila di una fronda che, pur senza rompere con la Ue, sarebbe per una cauta riapertura del dialogo con Mosca. E la sua biografia dimostra di poter essere la persona giusta per una simile impresa. Nata nella regione est di Dnepropetrovsk di cui conosce bene i mai assopiti sentimenti filo-russi, prima di diventare la «pasionaria della rivoluzione arancione» del 2004 fece le sue fortune aprendo società di intermediazione delle risorse energetiche russe, tanto da essere soprannominata «la regina del gas». Ma è chiaro che un peggioramento delle relazioni con Mosca renderebbe complicato il suo progetto. Il quale prevede riapertura del dialogo – proposto da Putin e Merkel – sul proseguimento dell’utilizzo delle pipeline ucraine anche dopo la messa a regime di South Stream 2 e il rilancio del «formato Normandia» per rimarginare la ferita del Donbass. Al momento la vittoria le potrebbe essere contesa solo da Vladimir Zelensky ( dato al 14%) uno show-man che si presenta con la lista populista e anticorruzione «Servire il popolo».